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Marirò

~ "L'esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque"

Marirò

Archivi tag: vita

Piccole, grandi, preziose storie.

28 venerdì Set 2018

Posted by ili6 in Articoli, scuola, Senza categoria

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amicizia, bambini, crescere insieme, disabilità, donne, educazione, figli, Giacomo Bertoni, Ludovico Einaudi, maestre, mamme, scuola, vita

Un bellissimo scritto di Giacomo Bertoni, suggerito da Lucetta, mi ha riportata alla storia di una Mamma e di suo Figlio e anche alla storia di una Scuola, di una classe di Alunni e dei loro Insegnanti. Una storia bella e importante, pur nella sua drammaticità, una delle tante piccole e preziose storie che esistono in questo mondo e che passano troppo in silenzio. Conoscere queste storie, viverle in qualche maniera, dà sempre i brividi e lascia attoniti per la forza e l’amore che le permeano.

Lei, la Signora Matilde. puoi incontrarla ogni giorno a Scuola. Accompagna Davide sin dentro l’aula poco dopo il suono della campanella, si ferma nella classe qualche minuto e viene a riprenderlo all’uscita prima delle altre mamme. A volte le fa compagnia la figlia maggiore, rarissimo quando ad accompagnare Davide è il papà per via degli orari di lavoro. Davide frequenta la quinta classe della Scuola Primaria, ha 12 anni ed è un ragazzino con gravissimi problemi psicomotori: non riesce a tenere eretto il corpo, si esprime con sguardi, suoni gutturali, urla e smorfie, soffre di ansie e di diabete. Non può fare a meno della sua speciale carrozzina e si alimenta assistito.

Mamma Matilde ogni giorno, col sole o con la pioggia, entra con l’auto nel cortile della scuola, prende dal bagagliaio la carrozzina, poi prende in braccio il figlio e lo sistema sulla sedia a rotelle, lo imbraca per bene e lo accompagna verso il portoncino, seguendo un lungo scivolo. Non sempre usa la sua carrozzina da quando l’Amministrazione Comunale ha provveduto a darne una simile a Scuola e così Matilde, Donna magra e minuta, molte mattine prende in braccio Davide e salgono insieme cinque gradini di scale. Arrivati nel corridoio, sistema Davide nella sedia speciale della Scuola e lo accompagna in classe. Aiuta le Maestre a togliere cappotti e giacchette, attende che Davide si stabilizzi e poi va via. Lo stesso si ripete al contrario all’uscita di scuola. In tutto questo Matilde viene a volte aiutata da qualche bidello, dall’insegnante di sostegno o da qualsiasi docente, genitore, personale di segreteria che in quel momento casualmente si trovi a passare da quell’angolo di corridoio. Tante altre volte fa tutto da sola.

La Signora Matilde è sempre affabile e curata, mai un lamento. Capita, però, di incrociarla disordinata, preoccupata, scura in viso quando viene chiamata dalle maestre per improvvisi problemi di Davide.

Lo scorso anno ho supplito per alcuni giorni la Maestra di Davide. Pur sapendo del bambino e della sua situazione, non nego che il mio primo impatto in quella classe fu terrorizzante, anche perché l’insegnante di sostegno sarebbe arrivata un paio d’ore dopo e idem l’assistente sanitaria. Furono i bambini della classe a dirmi di stare serena perchè mi avrebbero aiutata loro. Mi accorsi ben presto che tutti gli alunni avevano un ruolo preciso: due pensavano a far bere il compagno, sorreggendo la bottiglietta dell’acqua con la cannuccia. Davide sa indicare con un braccio quando ha sete. Due bambine erano incaricate a sorvegliare la testa del compagno, che riesce a stare eretta per una decina di minuti, poi si affloscia: “Bisogna metterla dritta altrimenti Davide respira male e può soffocare con la saliva”. C’erano i compagnetti che si preoccupavano di raccogliere eventuali oggetti che Davide poteva gettare a terra coi suoi movimenti incontrollati, c’era chi si incaricava di spostare la carrozzina perché: “ Davide così può guardare tutto e tutti e soprattutto il sole dalle finestre. Lui ama il sole, ma troppo gli fa male e dobbiamo proteggerlo”.  In un angolo della classe c’era un banco speciale perché Davide potesse lavorare con fogli, colori e materiale speciale.

Tutta la classe agiva e ruotava attorno alle esigenze del compagno in grande difficoltà. Un bambino mi disse: “ Maestra, parla a bassa voce, lui ha paura dei rumori e dei suoni forti”. Meno timorosa, iniziai la lezione senza perdere di vista quel ragazzino, ma non sapevo come rapportarmi con lui. Più volte mi avvicinai e dissi qualcosa di carino sugli adesivi spiritosi che c’erano sulla sedia a rotelle, ma Davide non entrava in contatto con me, non era abituato al suono della mia voce, preferiva guardare alcuni compagni. Poco dopo sentii dei suoni stridenti e i compagni mi avvertirono che Davide si stava innervosendo e occorreva accendere la radio. Li lasciai fare e subito dopo la voce di Laura Pausini si diffuse nell’aula. Una bambina mi spiegò che il compagno ama la Pausini, che si calma quando la ascolta perché sono le canzoni che gli canta la sua mamma: “ Noi siamo abituati a lavorare con questo sottofondo musicale”. Ed era vero; la classe mi seguì e lavorò serenamente.  Quando fu il momento della ricreazione alcuni bambini si misero attorno al compagno per non farlo sentire solo. Parlavano, scherzavano tra loro mentre Davide pareva seguirli con gli occhi e faceva smorfie. Era il suo modo di partecipare. Ricordo che mi avvicinai alla finestra e guardai il sole. Scesero delle lacrime mentre mi chiedevo tanti perché, mentre riflettevo sull’enorme lavoro svolto dalle mie Colleghe sulla classe e su Davide, mentre pensavo a mamma Matilde. Il calore del sole somigliava a Lei, a tutti quei Bambini che mi circondavano e alla loro Maestra.“Sei commossa?”, mi chiese una bimba. “Il sole mi ha abbagliata”, risposi. Poi la bambina mi invitò ad avvicinarmi a Davide: “Vuoi vederlo sorridere?”. Davide stava facendo una smorfia delicata e i suoi occhi erano vigili mentre ascoltava tre compagnetti che cantavano una canzoncina. Anche il suo braccio si muoveva al ritmo di quelle voci. Sì, stava sorridendo e tutto ebbe un significato ampio e prezioso.

Questo sarà l’ultimo anno di Davide nella mia Scuola. Giorni fa sono passata nella sua Classe per augurare a tutti buon anno scolastico. In sottofondo “Le onde” di Ludovico Einaudi:- “E la Pausini?”, ho chiesto. La Maestra ha risposto: “ Stanno diventando più grandi, pure Davide, ed è giusto che apprezzino anche altro”.

Stelle

16 venerdì Mar 2018

Posted by ili6 in Senza categoria

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distacco, Eugenio Montale, mamma, stelle, vita, vuoto

E’ una sera dolce e tiepida e in cielo ci sono le stelle. Sono nella tua terrazza, così, senza un vero motivo, senza nulla fare o cercare. Non più. O forse sì, c’è sempre qualcosa da fare, da cercare, da pensare o ricordare.

La serata è simile a quella dello scorso autunno, quando ti convinsi a fare un giro in terrazza. Parlavo di un po’ di tutto per stimolare la nostra conversazione, ti chiesi del “Conte di Montecristo”, il libro che stavi tentando di rileggere  sul mio tablet con scrittura gigantesca. Non interagivi molto, eri affaticata. Non mancò il nostro rito serale delle carezze, tre io a te, tre tu a me, sui capelli, come piaceva a noi due. Prima di rientrare mi chiedesti se in cielo ci fossero le stelle. Risposi di sì, ma aggiunsi che si vedevano poco, erano offuscate, anche se non era vero. E mi dicesti: “Vorrei tanto rivederle, non ci riesco più”. Ed io: ” E tu guarda me; da bambina mi ripetevi che ero la tua stella. Lo sono ancora, vero?” “Sempre”, rispondesti e accennasti a un sorriso. Ricordo che girai la testa perché non volevo che vedessi i miei occhi. Le stelle  piangono solo per San Lorenzo.

Ora che tu sei diventata una stella, sono io a cercarti nel cielo della sera quieta e forse da qualche luminoso punto stai continuando a sorridermi.

stelle-2-3

 

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Eugenio Montale

Il Poeta dedicò questi splendidi versi alla moglie, dopo la sua scomparsa. Io li dedico alla mia mamma.

La pastina

18 mercoledì Gen 2017

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Senza categoria

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il piacere di scrivere, racconto, uomini e bambini, vita

padre-figlia

Foto web

E ora che si fa, piccolina? Siamo rimasti soli soletti. Vuoi fare un sonnellino? Con quegli occhioni così aperti…Dai, ti racconto una fiaba. Ma quale?

“Ello, io Iccao!”

Sì, bello zio Riccardo, bello che non sa che fare con una bimbetta di pochi mesi. Ma dico io se ti dovevano affidare a me, stamattina! Ok, la baby sitter ha l’influenza e qua sono tutti insegnanti, tuo padre, tua madre, tua zia, persino tua nonna, e sono tutti a scuola. E tu sei con me; mi piace, lo sai Giulietta  che mi piace, lo sai che ti adoro e che vorrei già essere padre di una bimba come te. Ho solo paura di non farcela a badare a te, così piccola, in queste ore che staremo insieme. Ma sì, ce la faremo. Tu fai la brava, eh! E niente cacchina!

“Ello, io Iccao! Papeina, papeina!”

PapeRina, ecco la tua PapeRrina, giocaci quanto vuoi. Zio RRRiccardo nel frattempo  prepara la pastina, una buona pastina per Giulia. Vediamo…pentolino, acqua, tre cucchiai rasi di pastina, trrre, e poi un cucchiaino raso di grattugiato. Cucchiaino raso…tua mamma l’ha ripetuto tre volte, cucchiaino raso, che ti può venire il colesterolo a quindici mesi!

“Ello, io Iccao! Papeina ella!”

Sì, bella papeina, papeRina, ma più bella tu. Aspetta, Giulia, devo prima prepararti il pranzo, poi giocheremo con Paperina. PA.PE.RI.NA. Ma non è piccola questa pentola? Qui c’è il tuo piatto con gli orsetti e il biberon con l’acqua. Ah, che sei carina col bavaglino a pois! Bevi, su, e beve anche Pa.pe.Ri.na.

“Papeina, io Iccao”

Ok, ok, Papeina. L’acqua bolle, tre cucchiai di pastina. Un po’ di sale e il grattugiato raso. Fatto, tra un minuto è pronta. Ma il sale? Oh, mio Dio, il sale? I bambini mangiano con il sale??? Il sale…sì o no? Che faccio? Telefono a tua mamma.

“Paina! Paina!”

Aspetta, Giulia, abbiamo un problema: la pastina è  pronta, ma tua madre non risponde. Nessuno risponde! Sono tutti a scuola: mando un messaggio, magari quello lo legge se ha messo il silenziatore.

-PASTINA PER GIULIA COL SALE O SENZA SALE???-

“Paina, paina!”

No, no, non piangere, hai fame, lo so, ma non piangere, ti prego ti pregotiprego…

“Paina! Paina!”

Sì, ho capito, paina, paina…madonna, sto incretinendo e sono anche tutto sudato! No, no, niente sale, buttiamo questa pastina nella pattumiera e la rifacciamo senza sale. Un attimo di pazienza. Guarda che bella Paperina!

“Paina, Iulia paina!”

Vieni in braccio, su, passeggiamo sul balcone in attesa che bolle l’acqua. Guarda che bei fiori!

“Paina, PAINAAA!”

 Mamma mia che ti fai brutta quando piangi e urli! Senti, l’ho capito che hai fame, lo zio ha sbagliato, ha messo il sale nella paSTina e il sale fa male ai bimbi piccoli come te. Tra pochi minuti avrai la tua paSTIna, buona, liscia e salutare! Guarda che belle le margheri…no, no, la camicia no, così la strappi! Già è tutta bagnata di lacrime e saliva! Meglio rientrare prima che mi scivoli dalle braccia. Mettiamo ‘sti cucchiai di pastina, calmati Giulia! Calmati, Riccardo!

“Paina, painAAA, inAAA, AAA!”

Smettila, Giulia, smetti di strillare, echecazzo! Ma che ho detto? Scusa, scusa, piccolina…sto andando fuori di testa! Tranquilla, amore, ora ci calmiamo tutti e due, la pastina è nel piatto, ma dobbiamo farla raffreddare. Soffio, sì, soffio. Ma perché non piangi più? Ti sei ammutolita? Ti ho spaventata? Scusami, sorridi, dai. Ecco l’acqua, bevi che tra un attimo si mangia. Mescoliamo bene, sì, ora non è più bollente.

Amm…buona? …amm…ti piace? Aspetta, ho bisogno di un tovagliolo, sto sudando come un maiale. Dio, che esperienza, stamattina! …amm…

“Ello, io Iccao!”

Davvero? Bella tu  e buona la pastina, vero? Ora mi fai un bel ruttino, ok? Ah, il telefono, tieni Paperina, zio RRRiccaRdo va a rispondere, stai buona, mi rrraccomando.

“Ciao, sì, tutto bene,  ti avevo cercata, non sapevo se mettere  il sale nella pastina di Giulia.”

“Ma certo, mica diventa ipertesa! Poco sale, naturalmente, ma ci vuole, altrimenti te la sputa in faccia. A dopo.”

“A dopo.”

Il sale…ipertesa…spiritosa la cognata!

“Io Riccao!

Dimmi, piccola, ti è piaciuta la pastina senza sale? Non l’hai sputata in faccia allo zio, meriti un bacione. Hai fatto il ruttino mentre ero al telefono? Oh, ma come mi hai chiamato? Hai pronunciato la R! RRRiccarrrdo, ripeti, RRRiccarrrdo.

“Riccao, ello io Riccao!”

Ahahahah, Riccao va già meglio. Rrrosa, rrriso, rrramo, rrrana, rrruttino.

“ruino, io Riccao”

No, il ruttino devi farlo tu, non zio Riccardo. Ridi? Sai che ti dico? Che il ruttino lo lasciamo perdere, non si muore senza ruttino. Ora andiamo a rotolarci sul tappeto che è tempo di giocare, wow!

“Ello, io Riccao!”

Sììì, ello io Riccao, ella Giulia, elli noi. Se è vero che la vita è fatta di tanti piccoli attimi importanti, ora ne sto vivendo uno  con te. Che ne dici della favola della rrrana e del bue? Sentirai che  botto farà la RRRanocchietta…   …Oh, sento puzzetta… Il botto mi sa che stamattina  lo farà proprio Io Riccao!

 

Di chiese, austriaci e muli.

17 giovedì Nov 2016

Posted by ili6 in Articoli, Senza categoria, Viaggi

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a 70 metri di altezza, affreschi, apoteosi, architettura, arte, ascensori e scale, barocco, Chiesa di San Carlo Borromeo di Vienna, Johann Michael Rottmayr, obolo, panorama, paraocchi, quando la sicurezza va a farsi benedire, restauri, spazi dilatati, stupore, superficialità austriaca, testardaggine, vertigini, Vienna, vita

Foto prese dal web

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Questa è la Karls Kirche di Vienna, una chiesa molto bella; è stata voluta dall’imperatore Carlo VI che fece voto di far erigere una chiesa dedicata a San Carlo  Borromeo, protettore degli appestati e, nel 1716, quando la peste ebbe fine, fu postata la prima pietra. Nella chiesa si incontrano gradevolmente elementi  stilistici delle epoche e culture più diverse. Nella facciata si notano lo stile greco romano, quello bizantino e ottomano, tetti a pagoda dal sapore asiatico e, naturalmente, tanto barocco. Nulla di strano, siamo a Vienna! L’interno della chiesa è spettacolare, non tanto per i pregiati materiali presenti quanto per una efficacissima estensione dello spazio data da una serie di ingegnosi dettagli che allungano la luce e la visuale ed esasperano lo spazio. Non è semplice spiegare a livello tecnico il perché, la chiesa non è grande, ma lo sembra, forse l’ellissi della cupola o le colonne a spirale o la luce, molto intensa in alto: di fatto si resta stupiti. Stupiti anche per altri elementi: l’altezza, ad esempio. La cupola della chiesa arriva a 74 metri da terra, poi i dipinti e gli affreschi che ricoprono le pareti, cupola compresa, l’organo  molto elegante come gli arredi lignei,  l’imponente altare e i deliziosi particolari sparsi ovunque.  Poi, poi… c’è un mostro di ferro, legno e plexiglass che altro non è che un altissimo ascensore!

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Eccolo qua il mostriciattolo che è un vero pugno  nello  stomaco dentro tanta bellezza. Che ci fa un ascensore da ben 14 anni in questo gioiello di chiesa? Un avviso ti dice che l’ascensore è provvisorio, che è stato eretto per effettuare dei restauri e che, finiti questi, ne sono stati necessari altri e quindi l’opera continua. Pagando 8 euro puoi salire sulla cupola, contribuendo così agli infiniti abbellimenti, ammirare il panorama di Vienna e vedere da vicino vicino, mooolto vicino, gli affreschi di Johann Michael Rottmayr  che raffigurano  l’Apoteosi di San Carlo Borromeo.  E di vera “apoteosi” si tratta, cari austriaci!

L’ascensore si ferma 20 metri prima del belvedere e ti lascia su una piccola piattaforma di legno e ferro e poi puoi decidere di continuare a salire sino al vertice della cupola mediante una stretta e ripidissima scala a zig zag, protetta da pannelli di plexiglass alti meno di un metro. Non ci sono accompagnatori o personale vario e nessun segno di accorgimenti per la sicurezza dei visitatori. Sei sola a circa 50 metri di altezza, attorniata dalle figure degli affreschi e non sai se proseguire o meno. Un cartello ti dice che è pericoloso stare lassù in più di 10 persone e tu ne conti già 15. Sei testarda come un mulo, decidi così di proseguire nonostante il fiatone e ti affidi a San Carlo. In qualche modo arrivi alla ringhiera della cupola per ammirare il panorama della città, davvero bello. Poi senti qualcuno che dice: “ Mammamia quanto siamo alti, guarda giù!”.  E tu guardi giù: il vuoto! Inizi ad avere una leggera nausea. Comprendi che stai per avere le vertigini, anche se non sai cosa sono perché non ne hai mai sofferto e temi che arrivi un attacco di panico anche se lo sconosci. Dimentichi panorama e affreschi, vuoi solo scendere, ma è difficile muovere un solo passo. Che fare??? Pregare? Sei nel posto giusto!!!

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Sei lì, a 70 metri di altezza, aggrappata a un corrimano di plastica e devi scendere  quella scaletta per raggiungere l’ascensore: le ginocchia tremano, le gambe sono rigide, cominci a sudare. Devi sbrigarti, devi deciderti prima che arrivi la vera paura che ti bloccherà. Così pensi a quel mulo che una volta vedesti da bambina e ti sorprendesti nel  notare che il contadino lo bendava per fargli attraversare un piccolo fossato di acqua. Tuo padre ti disse che era l’unico modo per fargli superare la paura del vuoto. E tu ora hai paura, proprio come quel mulo, ma non puoi scendere 20 metri di scale bendata. E allora prendi la sciarpa  che hai in borsa, la arrotoli in testa e attorno al viso, creando una specie di paraocchi e poi fissi i piedi di chi sta davanti  a te e, contraendo i muscoli, inizi a scendere, pianissimo, piano. Funziona. Meno 5 metri, meno 10, gli ultimi zig zag di scalini li fai quasi volando fino all’ascensore: sei salva! E gli affreschi? Li guarderai su internet, comodamente seduta sul divano di casa.

Quando esci dalla chiesa sei sudatissima e ti piace persino  quel 2 di gradi che ti sta facendo gelare il sudore. Ma hai scordato qualcosa, così torni dentro la chiesa e ringrazi San Carlo e il mulo. Solo in quel momento ti accorgi che un coro di giapponesi ha iniziato un concerto. Ti siedi su una panca ad ascoltare e lentamente ti rappacifichi con gli austriaci e col mondo.

Un luminoso buio

21 sabato Mag 2016

Posted by ili6 in Articoli, Senza categoria, Terra mia

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blog, blogger, blu, descrizioni, Eruzione, Etna, inquietudine, insonnia, libri, luna piena, Maggio, mamma, meraviglie, nuvole, preoccupazioni, riposo, sere di Maggio, spettacoli della natura, stelle, tecnologia, vento, vita

Le sere di Maggio ce le aspettiamo quiete, dolci, con tutti quegli elementi, dai petali odorosi ai tramonti rossi, che preannunciano la bella stagione e che ti predispongono al meglio. Ma si sa che le sere non sono tutte uguali, nemmeno le giornate, le notti,  le settimane o i mesi e che spesso ci troviamo in balia degli eventi che ci coinvolgono, Maggio o Agosto che sia. Quel che a volte non si sa o si dimentica facilmente è che ciò che potrebbe servirti  in un preciso momento te lo può regalare l’esatto contrario di quello che pensavi, sempre se sei disposta a raccoglierlo.

Ieri sera, ad esempio, dopo una giornata carica di impegni di varia natura, responsabilità e tensioni, l’unica cosa a cui aspiravo era riposare, dormire riposando. Ma non c’era modo di ottenerlo. Dormire fuori casa, anche se è la casa di tua madre, non ti predispone al massimo del riposo. Se sei lì è per accudire, per controllare che tutto vada bene per lei, per fare compagnia in un momento che è da sola e da sola non può stare. Ma lei è tranquilla, dopo il necessario si addormenta subito  e potrei fare lo stesso anche io. Ci provo, infatti e lo spero. Quel lettino, però, non lo riconosco, è comodo, ma ha un odore diverso dal mio letto. Apro il libro che ho portato dietro, penso mi aiuterà. La lampada sul comodino, con quel led, è troppo forte, aggressiva. Leggo tre pagine. Fuori c’è un ventaccio che mi distrae, che crea rumori per me insoliti e fastidiosi e perdo la concentrazione, così chiudo il libro. Niente,  non mi va, forse è anche il testo che sto leggendo che fatica a prendermi. La tv nella stanzetta è troppo piccola e non ho voglia di televisione. Accendo il tablet, giro un po’ sul web e nei blog amici. Magari riuscirò a leggere e commentare;: sto trascurando la blogsfera e non mi piace. Leggo alcuni post, lascio qualche commento, ma è sempre il vento a distrarmi. Proprio non lo amo!

Sento una sedia che si muove sul terrazzo, la porta del corridoio che vibra, un sibilo acutissimo sotto la finestra: di sonno nemmeno una traccia. Mi rigiro inquieta tra le lenzuola. Insisto con la blogsfera: questo post è lungo e impegnativo, lo leggerò domani. In questo ci sono troppi link, non mi va di aprirli. Ma che ha scritto??? Boh, forse sono io che non capisco, meglio ripassare. Belle le foto, ma oltre a scrivere “belle” non saprei che aggiungere: troppo banale.Candy Crush? No, mi innervosisce! Basta blog, blogger e tecnologia, non è il momento.

La sedia continua a passeggiare trasportata dal vento e non mi farà chiudere occhio, così decido di alzarmi e uscire fuori per sistemarla. La sferzata di vento che mi accoglie è gelida, o forse è il mio pigiama troppo leggero. Non posso permettermi un’influenza e rientro per cercare qualcosa per coprirmi. Trovo uno scialle lungo e pesante che mia mamma fece ai ferri molti anni fa e che è in attesa di essere riposto nel baule invernale. Torno sul terrazzo ben protetta alla ricerca della sedia  e…mi blocco!

Lo spettacolo che si offre ai miei occhi è stupefacente: sono le 23.30 circa e il cielo è di un blu chiaro, quasi elettrico. La luna piena, brillantissima, e il vento di tramontana che ha pulito l’aria dalla sabbia africana, rendono tutto surreale. Ci sono nuvole nere, altre marroni, altre bianche, sparse, accavallate e alternate a grandi spazi aperti di cielo pieni di stelle lontanissime, ma luminose. Chiaro e distinto si vede anche uno dei tanti satelliti che ci controllano e pare strizzarmi l’occhio.

Guardo a sud-est e vedo il mare che luccica, è color argento. Sembra increspato.  Ci sono delle lucine che si muovono , forse quelle di una grande nave. Eppure sono lontana dal mare, ma la limpidezza dell’ aria è eccezionale e ti fa vedere anche a grande distanza. Riesco a focalizzare le piste dell’aeroporto e seguo l’atterraggio di un aereo. A questa distanza mi sembra un atterraggio molto lento. Aerei, navi, stelle…che voglia di partire lontano!

Il vento pare calmarsi, o forse mi sono abituata e non sento più freddo: lo scialle di lana mi protegge benissimo. Prendo la sedia, la posiziono al centro del terrazzo, direzione nord-est, dove lo spettacolo è ancora più suggestivo: l’Etna e la nuova eruzione. Il contorno del vulcano è netto, color blu cobalto, qua e là qualche nuvolone e manciate di stelle. Si distinguono bene anche le pinete dei monti più bassi. Sul  cratere centrale spicca fulgido il rossore dell’eruzione e la colonna di cenere. Seppur non molto alte, a intervalli regolari, si stagliano nel blu le fontane di lava: giallo, arancione, rosso!

Mi siedo e sto a guardare. Non so per quanto tempo, dieci-venti minuti, ma è il tempo necessario per allentare tensioni e preoccupazioni, per meravigliarmi ancora una volta di ciò che mi circonda, per caricarmi di quel luminoso buio che mi farà dormire bene. Prima, però,  passo silenziosa nella stanza di mia mamma, la sento russare lievemente e questo sarà il dolce suono che accompagnerà il mio riposo.

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Foto presa qui. Ieri notte non ho pensato a fare foto, ma questa è ciò che più somiglia, per colori e situazioni, alla mia visione.

Polvere di stelle

06 venerdì Mag 2016

Posted by ili6 in Articoli, Libri, scuola, Senza categoria

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alunni, auguri, bambini, dediche, desiderio, Einaudi Ragazzi, emozioni, essere genitori, festa della mamma, libri belli, mamma, nascita, Polvere di stelle, scale di vita, Stefano Bordiglioni, stelle, vita, voglia di dolcezze

-Mamma, ma io dov’ero prima di nascere?

-Su una stella, piccolo mio.

-E che facevo sulla stella?

-Aspettavi.

-Che cosa aspettavo?

-Aspettavi che io e papà ti venissimo a cercare. Aspettavi di nascere.

-E come ho fatto a scendere dalla stella?

-E’ stato facile, piccolo mio: io e il tuo papà ti volevamo così tanto che il nostro amore ha costruito una scala lunghissima nel cielo. Così tu sei potuto scendere.

-E come facevate, tu e il papà, a sapere che io ero proprio su quella stella?

-Lo sapevamo e basta. Non potevi essere da nessun’altra parte: la tua stella brillava più forte delle altre. Eri tu che dicevi “Mamma, papà, sono qui”. Eri tu che ci chiamavi.

-Vi chiamavo?!

-Certo, ci chiamavi fortissimo, perché eri stanco di startene tutto solo lassù sulla tua stella.

-E voi avete costruito la scala…

-Certo, anche noi eravamo stanchi di stare lontani da te e così abbiamo costruito una scala che arrivasse fino in cielo.

-Mamma, ma anche tu prima di nascere avevi una stella tua?

-Certo, piccolo mio. Anche io avevo una stella tutta mia. Anche io ero polvere di stelle.

-E anche papà?

-Sì, anche papà.

-Tutte le persone hanno la loro stella prima di nascere?

-Sì, piccolo mio, tutte le persone hanno la loro stella e lì aspettano che una mamma e un papà costruiscano una scala per loro.

-E anche il mio gattino aveva la sua stella?

-Certo, anche Briciola era polvere di stelle e ha aspettato che la sua mamma e il suo papà lo cercassero. Tutti noi esseri viventi siamo fatti di polvere di stelle e aspettiamo lassù, da qualche parte dell’universo, che l’amore di una mamma e di un papà ci faccia nascere.

 

Stefano Bordiglioni

cop

Copertina e scheda del libro qui

Questo brano,  tratto dal libro  “Polvere di stelle”, di Stefano Bordiglioni, edito da  Einaudi Ragazzi, è presente nel libro di lettura adottato dalla mia classe.

Quando lo lessi, prima di proporlo agli alunni, mi emozionai non poco. Rimasi, però, un attimo perplessa pensando ai miei bambini di dieci anni, alcuni parecchio agitati e  turbolenti,  e tutti già con le tipiche, difficili caratteristiche preadolescenziali. Che ne avrebbero pensato di un brano così dolce, lieve e poetico? Chissà che smorfie e sorrisetti maliziosi…

Quanto mi sbagliavo! Le emozioni non hanno età.

L’altra mattina dissi agli alunni che avrebbero ascoltato una bella lettura e, nel leggerla, misi tutta me stessa.  Nella classe scese il silenzio più totale  sin dalle prime battute e quando finii di leggere, inaspettato e spontaneo, partì  l’ applauso della classe.  A grande richiesta, e con piacere,  dovetti leggere “Polvere di stelle” tre volte di seguito e mi accorsi anche di occhietti lucidi.

-Vi è piaciuta, vero?

-Tantissimo, maestra! E’ troppo bella! Leggila ancora!

-No, sarete voi a leggerla, invece, alla vostra mamma per la sua festa. Vedrete che le piacerà. Esercitatevi bene, dando la giusta intonazione, con le dovute pause e domenica, prima di consegnare il vostro biglietto alla mamma, leggerete questo brano ad alta voce proprio a lei.

-La mamma si emozionerà!

L’indomani, pur non avendo lettura, erano tutti con il libro aperto e si esercitavano a leggere. Così li ho ascoltati con attenzione e sono stati eccellenti. Alcuni ne avevano anche memorizzato delle parti.

-Ma ditemi, perché questo brano vi è così tanto piaciuto?

-Perché parla della mamma. -Perché è a due voci. -Perché è dolce. -Perché è scritto bene. -Perché parla del mistero della nascita. -Perché siamo delle stars, wow!

-Vero, ma vi è piaciuto solo per questo? Perché in molti vi siete così tanto emozionati?

Interviene il più pestifero e distrattone della classe: -Maestra, mi è piaciuto perché parla di noi bambini e mi sono emozionato perché mi ha fatto capire che mamma e papà mi hanno desiderato.

Continua Lucia: –Sì, anche io mi sono sentita  desiderata, voluta, cercata.

Conclude Sofia: –Non siamo nati per sbaglio. Siamo nati dall’amore di quella  scala. Però, chissà che fatica hanno fatto mamma e papà per tenere ferma quella scala così lunga!

Iniziano a discutere tra loro e decido di non intervenire, non è più necessario, ma sto in ascolto e ciò che sento mi piace e comprova quanto sanno essere belle le emozioni e quanto tutti  abbiamo bisogno di conferme e dolcezze. A qualsiasi età.

Nel complimentarmi ancora con l’autore, dedico questo brano a voi genitori che avete voluto e saputo costruire quella scala per raccogliere le vostre stelle, ai miei genitori che mi hanno raccolta lassù, e anche a tutti quei genitori mancati che, pur avendo tentato di costruire quella  lunga e faticosa scala, non sono riusciti a trovare la loro stella.

Note amiche

13 mercoledì Apr 2016

Posted by ili6 in Articoli, Musica, Senza categoria

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antistress, Blue Moon, jazz, melodie, musica, note amiche, ricordi, vita

Ci sono note, melodie, canzoni che ti sono amiche. In qualche modo sono legate a te e riescono a darti ancora e ancora tanto e  a riempire i pensieri di cose buone, lasciando fuori ciò che merita solo di essere stracciato.

Proprio ieri sera ho cercato una delle mie note amiche,  un celebre motivo che appartiene a un genere musicale, il jazz, che non prediligo in modo particolare. Ma il jazz soft sì, spesso lo cerco e lo canticchio e  lascio che mi accompagni anche nei ricordi.  Una melodia in  particolare  mi fa tornare a certi momenti della mia vita, a certe sere estive quando, ragazzina,  seduta sui gradini di pietra lavica del giardino dei miei nonni, tentavo con  la mia  ukulele di accompagnare mio zio che, col suo clarinetto, intonava Blue Moon. Bei momenti, che oggi mi mancano, ma che sanno venirmi incontro quando ne ho la necessità.

E le tue note amiche quali sono?

Capitani…

12 sabato Mar 2016

Posted by ili6 in Articoli, Musica, Senza categoria

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capitani coraggiosi, Claudio Baglioni, concerti, emozioni, fatica, Gianni Morandi, marito e moglie, musica, uomini, vita

Gli uomini: sempre faticosi e complicati! Spesso sudiamo  sette camicette per portarvi dove  noi donne desideriamo. Vi dobbiamo prendere per il verso giusto, montare scenette, programmare tempi e modi, … ma che fatica! Se dovete dire un sì, perché capita che è un sì, fatelo subito, senza tergiversare, senza costringerci a manfrine e tarantelle, senza farci scontare per giorni quel sì che poi vi potrà anche piacere. Echecavolo! Alla lunga  potremmo  stufarci, eh! Dite che le ingarbugliate siamo noi, eccertochesì, ci ammatassiamo  se per ottenere una quisquilia dobbiamo progettare per mesi! Una lotta, siete una lotta continua e costante!

Due mesi fa, ad esempio,  ho dovuto progettare minuziosamente  un’idea  per  “incastrare” il mio coniuge e se non ci fosse stata anche la fortuna di mezzo….

Conosco  i suoi momenti “giusti” e così, in uno di questi ho buttato la richiesta: -Mi piacerebbe vedere quel concerto, mi accompagni?

-Eh, uh, oh, ok.

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 Okkey!!!  Non  ne parlo più, prendo l’ok e lo lavoro per bene,” ‘nzamai” rimuginasse  e cambiasse idea.  In realtà l’idea lui la cambia, ma in modo “soft”. Al momento di acquistare i biglietti gli chiedo se preferisce andare il venerdì o il sabato. Un grande errore, il mio, e lui, ironico, risponde che andremo  giovedì. Ma il concerto di giovedì non c’è !!!  Incasso il colpo, me ne dico di cotte e di crude, faccio l’ offesa per  due giorni,  sono  arrabbiata e delusa. Ma gli sto chiedendo la luna?!?  Poi dimentico, restando sempre all’erta.  Non trovo amiche disponibili per andare, ma quel concerto IO voglio vederlo!

Improvvisamente il web mi informa che per l’enorme richiesta di fans, il duo Morandi-Baglioni aggiunge un’ulteriore  data in Sicilia e sarà di giovedì. In un nanosecondo acquisto i biglietti via Internet e quando glieli presento, lui mi dice: -Allora non hai capito.

-Sì, tesoro, ho capito perfettamente. Andremo di giovedì, come hai detto tu, giusto?

-Ma…

-Faranno tre serate, hanno aggiunto il giovedi  per farti contento!

Si azzittisce e io pure. So che non devo  gridare vittoria e soprattutto so che andrò al concerto di  Baglioni, l’uomo che con le sue canzoni ha accompagnato la mia vita e tutti i momenti belli e meno belli trascorsi con mio marito.  Claudio…l’uomo con cui volentieri sarei fuggita,…vabbè, vaneggio… Ci sarà anche Morandi, mi sta bene,  lo considero il bravo ragazzo, il buon vicino di casa, il cantante di alcuni bei pezzi.  Claudio è un altro discorso…tutto e solo mio, ovviamente. Ho visto già altri suoi concerti, in uno sono persino riuscita a sfiorargli una mano…ok, ok, datemi della scema, accetto tutto: lo adoro!

Arriva il gran giorno. Ci penso da tre e non sto nella pelle, ma mi contengo alla grande. Lui pare l’abbia scordato e  glielo ricordo al mattino, di sfuggita.  Forse si lamenta, forse no, boh, poco importa…si va al concerto! Nel pomeriggio non riesco più a contenermi, mi faccio bella, mi sento agitata come una ragazzina. In fondo i concerti servono a toglierti di colpo decenni di dosso: canterò e ballerò, ne sono certa. E sognerò. E lui? Dormirà? Sbufferà?  Pare calmo e rassegnato, magari gli piacerà, chissà.

Verso le 18.00 gli dico che i nostri posti  non sono numerati e sarebbe opportuno andare per sistemarci al meglio. Io sono pronta da un pezzo, ma lui deve vedere il telegiornale, leggere il televideo, fare due telefonate…Non resisto, gli  faccio  fretta,  mi metto in macchina e ascolto un CD, ovviamente di Baglioni. Arriva con comodo, sto  zitta, temo sempre che cambi idea e giri l’auto sul più bello. Se lo farà, divorzierò, senza se e senza ma.

Partiamo e troviamo la tangenziale bloccata: era prevedibile. Facciamo un giro pazzesco, entriamo in città, semiparalizzata forse dai tremila automobilisti che stanno andando al concerto come noi. Capisce che siamo in ritardo, inizia a volare, a  fare strade paurose e decido di chiudere gli occhi e ascoltare Claudio in cuffia. Finalmente arriviamo. Posteggiamo molto distante e inizio a correre verso il Palasport. Mi viene dietro dandomi della pazza e forse un po’ lo sono, una pazza felice! Felice per il concerto e per essere riuscita a trascinarlo. Non troviamo posti a sedere, siamo tra gli ultimi e alla fine ci sediamo sulla  scalinata, dove non si potrebbe. La sorveglianza ci rimprovera, ma siamo davvero tanti, hanno venduto più biglietti del dovuto, che si stiano zitti che il bello sta per iniziare e so io che fatica ho dovuto fare!

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Si accendono le luci, i musicisti prendono posto, partono le prime note, entrano Claudio e Gianni: il Palasport esplode e io pure! Si balla e si canta a squarciagola, siamo forse cinquemila persone, non so,  quasi tutti in piedi. Lo spettacolo è di alto livello, per orchestra, scenografia e naturalmente per le performance dei due “Capitani Coraggiosi” che trascinano all’inverosimile. Accanto a me c’è un altro Capitano, quello della mia vita, che osservo di sottecchi in continuazione: inizialmente impassibile, comincia a ciondolare la testa e battere il piede a suon di musica. Poi canta! Canta con me e coi cinquemila. A metà concerto si alza, ancheggia, mi prende sottobraccio, mi cinge le spalle, segue il mio ritmo, sorride, applaude. E io mi spello le mani, per Baglioni, per Morandi, per  il mio faticoso, ma sempre bel, Capitano e per Me.

 

Kavvingrinus

27 sabato Feb 2016

Posted by ili6 in Articoli, blog, Libri, Senza categoria

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affetti, Avvocatolo, blogger, blogsfera, emozioni, fotografia, gioco, il piacere di leggere, Kalosf, kavvingrinus, nonno Pino, vita, Ysingrinus

Tra le tante cose belle che possono capitare nella blogsfera, una oggi è successa a me: essere stata ben accolta con un mio racconto da tre cavalieri blogger nell’ambito di una iniziativa molto interessante che stanno portando avanti in modo egregio: Kavvingrinus. Un titolo strano, una specie di unione dei loro tre nick, per una proposta profonda che riguarda la nostra storia di lettori e i libri che ci hanno accompagnato nella vita e che hanno anche contribuito a determinare ciò che oggi siamo. E io, che di solito entro in punta di piedi nelle varie proposte e dopo averle studiate e vagliate per settimane intere, dopo aver letto  l’invito di uno  dei tre blogger, l’unico che già conoscevo,  in modo quasi istintivo e senza ben capire i meccanismi dell’iniziativa, ho partecipato al Kavvingrinus,  proponendo  una mia pagina di vita che dice del mio inizio, della scintilla che generò l’innamoramento ai libri e alla lettura.  Consapevole, poi, di essere andata un po’ fuori tema, di essere rimasta solo agli inizi, ho per un attimo temuto la loro analisi, senza considerare e/o non conoscendo ancora  la signorilità, lo spessore e il garbo che contraddistingue ognuno di loro.  Sto parlando di Kalosf e del suo raffinato blog, felice  connubio tra fotografia, pensieri e poesia e di Avvocatolo e Ysingrinus, che ho avuto il piacere di conoscere in questa occasione. A loro, a ciò che hanno scritto a corredo del mio post e ai loro lettori va il mio grazie per le emozioni che hanno scatenato  e che ora si mescolano a sentimenti in me sempre vivi.

—   —   —   —   —   —   —   —   —   —   —   —   —   —   —   —   —

C’era una volta una bambina che quasi ogni pomeriggio andava a trovare i nonni in un paese vicino. La loro casa era molto bella, con un grande giardino dove c’era sempre qualcosa da scoprire e nuovi giochi da inventare tra i vialetti alberati. Era piacevole stare con la nonna e con la zia in quel posto da favola. Il nonno lo incontrava poco, lui nei pomeriggi lavorava in cartolibreria, e un giorno la bimba fu accompagnata proprio in quel negozio del nonno perché le donne dovevano andare in giro. La bambina fu contrariata per la novità: non poteva sapere che quel pomeriggio sarebbero nati nuovi affetti, nuovi amici, nuove sensazioni, nuove abitudini che sarebbero durate per sempre e che avrebbero indirizzato la sua la vita.

Il negozio del nonno si rivelò anche meglio del giardino: c’erano matite di tutti i colori, giornali, pupazzetti, libri di tutti i tipi, scatole da aprire, album da colorare,…c’era odore di carta, di inchiostro, di tabacco.

Il nonno le permise di curiosare un po’; lei apriva pacchi, pasticciava fogli, sfogliava giornali, spostava gomme e temperini, metteva giù i pupazzetti. Quante cose non conosceva! Chiedeva, provava, annusava, toccava e il nonno, che di bimbi se ne intendeva perché trascorreva le mattine a scuola, rispondeva, spiegava, dimostrava e sorrideva, vedendo gli occhi meravigliati di quella bimbetta di appena tre anni.

Poi, forse per paura che il negozio venisse messo a soqquadro o forse per volerle fare un regalo, il nonno la fece sedere su una piccola sedia dietro il bancone e le chiese di ascoltare. Prese un libro giallo con le scritte rosse e cominciò a leggere…

      “C’era una volta un piccolo, brutto anatroccolo…”

La voce del nonno catturò subito la sua attenzione: era sottile, un po’ rauca e mai uguale. A volte si alzava, poi diventava un sussurro, proseguiva pacata, poi veloce, cambiava tono, cantava. Era musica. Ed era tutta per lei.

La bimba guardò il nonno, quel nonno così poco conosciuto sino a quel momento, e lo vide sereno, elegante con quel gilet grigio e la camicia azzurra. Osservò il suo viso magro e leggermente rugoso; le labbra si distendevano, sorridevano, le sopracciglia a volte si aggrottavano. Guardò le sue mani sottili che si muovevano, che indicavano, che accarezzavano la carta e sfogliavano con delicatezza le pagine. Fissò i suoi occhi chiari che seguivano il rigo e che a volte la guardavano.

Pian piano la bimba si concentrò sulle parole, sulle frasi, sulla voce del nonno che leggeva per lei e quelle parole presero forma, danzarono davanti a lei e composero un quadro ricco di forme, colori, personaggi, sentimenti. E lei vide quell’anatroccolo nero, i suoi fratelli, sentì la preoccupazione di mamma anatra, perché lei in quel momento era con loro, in quello stagno…

Non ricorda quanto durò quel primo ascolto, il tempo si dilatò, si azzerò e non fu più percepibile. Su tutto dominava il suono morbido della voce del nonno che leggeva per lei.

Fu un momento magico che si ripetè tantissime altre volte. La bimba preferì, infatti, sempre più il negozio del nonno al giardino delle meraviglie e lui l’accoglieva con gioia: quei momenti piacevano ad entrambi, davano serenità, regalavano affetto, unione, stupore a tutti e due.

A volte il nonno doveva interrompere la lettura perché in negozio entrava qualche cliente e lei si infastidiva, si ingelosiva perché quei momenti erano loro, solo per loro: lei, lui, la sua voce, il libro, la storia, il sogno.

Oggi quella bimba è cresciuta, legge per se stessa e molto spesso legge ad alta voce per i bimbi che l’attendono in aula. Non si sorprende nel vedere sul viso dei bambini lo stupore e la meraviglia mentre ascoltano la sua voce che legge e nemmeno del fastidio che genera il suono della campanella: sono momenti che non amano essere interrotti. Sono l’origine di qualcosa che sta nascendo e che si potrà fortificare nel tempo. Lei questo lo sa bene.

Grazie nonno Pino, la tua voce, che mi ha resa felice lettrice, è sempre in me.

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Splendida foto di Kalosf : grazie!

Fluire

19 venerdì Feb 2016

Posted by ili6 in Articoli, Senza categoria

≈ 61 commenti

Tag

eros, katherine Scrivens Eje, pensieri, sensualità, vita

Ti avvicini così tanto da sentire l’odore della  pelle. Una lieve fragranza di sandalo confonde  le idee. Ma non ci sono idee da seguire stasera.

Ci sono pensieri da spegnere, altri da accendere e vivere.

Ci sono  occhi da esplorare, mani da sfiorare, respiri da ascoltare.

Gli occhi, i tuoi occhi teneri e penetranti, fulgide scintille che accendono il buio, paralizzano. Ascolto i nostri respiri: già sanno di fretta, già sono in affanno. Poi le tue mani, oh le tue mani, scivolano leggere e calde, disegnando arabeschi che parlano. Seguirle è inevitabile, accompagnarle è danza che brucia e fluisce.

Rune

Dipinto di Katherine Scrivens Eje

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