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Marirò

~ "L'esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque"

Marirò

Archivi tag: maestre

DAD, ovvero Desolante Affannosa Didattica (a distanza)

10 mercoledì Giu 2020

Posted by ili6 in Articoli, scuola, Senza categoria

≈ 68 commenti

Tag

alunni, Coronavirus, DAD, Di tutto e di più, Emergenza sanitaria, famiglie, fatica immane, h24, maestre, mai più, piattaforme, scuola a distanza

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<<Mammaaa, non sento e non vedo più niente!>>

<<Maestra, sta cadendo la linea…sto finendo i giga…la batteria è scarica…>> 

<<C’è l’eco, lo sentite l’eco? Non si capisce niente!!!>>

<<Sei tu che provochi l’eco, prova a uscire di nuovo dalla piattaforma e a rientrare>>.

<<Chiudete i microfoni….aprite i microfoni…basta faccini e cuoricini nella chat, non mangiate il gelato durante la videolezione!>>

<<Bambini, condivido con voi uno schema che ho creato Aspettate, come si fa? Ecco, riuscite a vederlo?>> (sudore della maestra) <<Sì, no, dov’è? Si vede piccolo>>.

<<Giovanni, ripeti la poesia.>> Bung, crash, spatt :<<Che è successo, Giovanni? Stiamo vedendo il lampadario della tua cucina, Giooo, dove seiii???>>

<<Ops, è caduto il telefonino…>>

<<Mamma, papà, smettetela! Il microfono è aperto, tutti stanno sentendo le vostre parolacce!>>

<<Signora non suggerisca, può allontanarsi per cortesia?>> dico con voce calma << Penso io a aiutare Sofia>>. La signora:<< Ma guarda che a casa mia non posso stare dove voglio! Ok, ok, ho capito, me ne vado!>> Si alza, si dirige nell’altra stanza e…BANG! (porta che sbatte).

Continuo?  La Didattica A Distanza è stata anche questa.

Maestre, alunni, genitori, presidi…siamo STRAFELICI CHE SIA FINITA e Dio non voglia di dover riprendere a settembre con questo modo bislacco di fare scuola. Una baraonda impressionante, un incubo spiazzante che ha trovato tutti impreparati. Se noi insegnanti in poco ci siamo attrezzati e orientati nelle piattaforme così non è stato per una buona fetta di utenza che si è trovata con connessioni debolissime e inefficaci, con giga insufficienti, con dispositivi faticosissimi da usare. La maggior parte dei bambini si è collegata coi cellulari perché le famiglie non possedevano altro. Scrivere con la tastierina, collegarsi in contemporanea nei siti dei libri on line, stampare, perdere la linea e sparire dalla piattaforma quando sul telefonino della mamma arrivava un qualsiasi messaggino, mantenere fermo e dritto il cellulare mentre stavi scrivendo sul quaderno…una impresa faticosissima che piccoli e grandi abbiamo cercato di affrontare con pazienza e al meglio pur di dare un minimo di dignità a questa seconda parte dell’anno scolastico.

Ci sono stati momenti belli, anche spassosi, momenti teneri, videolezioni meglio riuscite, altre difficili e stancanti, ci sono stati attimi di scoraggiamento o di rassegnazione specie per quei bambini, pochi ma ci sono stati, impossibilitati a inserirsi nelle piattaforme e coi quali si è cercato di mantenere un minimo e insoddisfacente contatto con whattsapp. E tanto altro.

La DAD potrebbe essere nel prossimo futuro una buona opportunità per affiancare e potenziare l’apprendimento tradizionale. Per una efficace ricaduta sull’apprendimento sarà obbligo creare vari presupposti: età degli studenti (non inferiori ai 12 anni), adeguatezza dei dispositivi, preparazione tecnologica, esperienza, piano organizzativo e programmatico innovativo e creativo. Invero ci siamo dovuti catapultare e adattare a questa nuova situazione e i piccoli in questo sono stati fantastici perché ogni adattamento richiede tempo e loro di tempo non ne hanno avuto: il 10 Marzo erano già in videolezione e la loro maestra si scervellava per proporre una didattica diversa e accattivante che li motivasse, che non li stancasse troppo, producendo nel contempo dei risultati. In merito ai risultati non voglio pronunciarmi, preferisco aspettare settembre per capire, nella speranza di poter rivedere gli alunni in aula, quella vera. La presenza troppo costante (e necessaria, vista l’età degli alunni) dei genitori è al momento inevitabilmente fuorviante.

Doppi e tripli turni, plexiglass, tute spaziali, caschi e visiere, bolle di Amuchina spesse due metri: tutto SARA’ ACCETTATO pur di poter tornare in aula e non ripetere l’esperienza DAD.

Il Coronavirus, dopo il salto di specie e la conoscenza dell’essere umano, deciderà da sé che stava meglio dove si trovava prima e si toglierà di mezzo per la pace e gli abbracci di tutti? L’augurio è di vero cuore.

Piccole, grandi, preziose storie.

28 venerdì Set 2018

Posted by ili6 in Articoli, scuola, Senza categoria

≈ 29 commenti

Tag

amicizia, bambini, crescere insieme, disabilità, donne, educazione, figli, Giacomo Bertoni, Ludovico Einaudi, maestre, mamme, scuola, vita

Un bellissimo scritto di Giacomo Bertoni, suggerito da Lucetta, mi ha riportata alla storia di una Mamma e di suo Figlio e anche alla storia di una Scuola, di una classe di Alunni e dei loro Insegnanti. Una storia bella e importante, pur nella sua drammaticità, una delle tante piccole e preziose storie che esistono in questo mondo e che passano troppo in silenzio. Conoscere queste storie, viverle in qualche maniera, dà sempre i brividi e lascia attoniti per la forza e l’amore che le permeano.

Lei, la Signora Matilde. puoi incontrarla ogni giorno a Scuola. Accompagna Davide sin dentro l’aula poco dopo il suono della campanella, si ferma nella classe qualche minuto e viene a riprenderlo all’uscita prima delle altre mamme. A volte le fa compagnia la figlia maggiore, rarissimo quando ad accompagnare Davide è il papà per via degli orari di lavoro. Davide frequenta la quinta classe della Scuola Primaria, ha 12 anni ed è un ragazzino con gravissimi problemi psicomotori: non riesce a tenere eretto il corpo, si esprime con sguardi, suoni gutturali, urla e smorfie, soffre di ansie e di diabete. Non può fare a meno della sua speciale carrozzina e si alimenta assistito.

Mamma Matilde ogni giorno, col sole o con la pioggia, entra con l’auto nel cortile della scuola, prende dal bagagliaio la carrozzina, poi prende in braccio il figlio e lo sistema sulla sedia a rotelle, lo imbraca per bene e lo accompagna verso il portoncino, seguendo un lungo scivolo. Non sempre usa la sua carrozzina da quando l’Amministrazione Comunale ha provveduto a darne una simile a Scuola e così Matilde, Donna magra e minuta, molte mattine prende in braccio Davide e salgono insieme cinque gradini di scale. Arrivati nel corridoio, sistema Davide nella sedia speciale della Scuola e lo accompagna in classe. Aiuta le Maestre a togliere cappotti e giacchette, attende che Davide si stabilizzi e poi va via. Lo stesso si ripete al contrario all’uscita di scuola. In tutto questo Matilde viene a volte aiutata da qualche bidello, dall’insegnante di sostegno o da qualsiasi docente, genitore, personale di segreteria che in quel momento casualmente si trovi a passare da quell’angolo di corridoio. Tante altre volte fa tutto da sola.

La Signora Matilde è sempre affabile e curata, mai un lamento. Capita, però, di incrociarla disordinata, preoccupata, scura in viso quando viene chiamata dalle maestre per improvvisi problemi di Davide.

Lo scorso anno ho supplito per alcuni giorni la Maestra di Davide. Pur sapendo del bambino e della sua situazione, non nego che il mio primo impatto in quella classe fu terrorizzante, anche perché l’insegnante di sostegno sarebbe arrivata un paio d’ore dopo e idem l’assistente sanitaria. Furono i bambini della classe a dirmi di stare serena perchè mi avrebbero aiutata loro. Mi accorsi ben presto che tutti gli alunni avevano un ruolo preciso: due pensavano a far bere il compagno, sorreggendo la bottiglietta dell’acqua con la cannuccia. Davide sa indicare con un braccio quando ha sete. Due bambine erano incaricate a sorvegliare la testa del compagno, che riesce a stare eretta per una decina di minuti, poi si affloscia: “Bisogna metterla dritta altrimenti Davide respira male e può soffocare con la saliva”. C’erano i compagnetti che si preoccupavano di raccogliere eventuali oggetti che Davide poteva gettare a terra coi suoi movimenti incontrollati, c’era chi si incaricava di spostare la carrozzina perché: “ Davide così può guardare tutto e tutti e soprattutto il sole dalle finestre. Lui ama il sole, ma troppo gli fa male e dobbiamo proteggerlo”.  In un angolo della classe c’era un banco speciale perché Davide potesse lavorare con fogli, colori e materiale speciale.

Tutta la classe agiva e ruotava attorno alle esigenze del compagno in grande difficoltà. Un bambino mi disse: “ Maestra, parla a bassa voce, lui ha paura dei rumori e dei suoni forti”. Meno timorosa, iniziai la lezione senza perdere di vista quel ragazzino, ma non sapevo come rapportarmi con lui. Più volte mi avvicinai e dissi qualcosa di carino sugli adesivi spiritosi che c’erano sulla sedia a rotelle, ma Davide non entrava in contatto con me, non era abituato al suono della mia voce, preferiva guardare alcuni compagni. Poco dopo sentii dei suoni stridenti e i compagni mi avvertirono che Davide si stava innervosendo e occorreva accendere la radio. Li lasciai fare e subito dopo la voce di Laura Pausini si diffuse nell’aula. Una bambina mi spiegò che il compagno ama la Pausini, che si calma quando la ascolta perché sono le canzoni che gli canta la sua mamma: “ Noi siamo abituati a lavorare con questo sottofondo musicale”. Ed era vero; la classe mi seguì e lavorò serenamente.  Quando fu il momento della ricreazione alcuni bambini si misero attorno al compagno per non farlo sentire solo. Parlavano, scherzavano tra loro mentre Davide pareva seguirli con gli occhi e faceva smorfie. Era il suo modo di partecipare. Ricordo che mi avvicinai alla finestra e guardai il sole. Scesero delle lacrime mentre mi chiedevo tanti perché, mentre riflettevo sull’enorme lavoro svolto dalle mie Colleghe sulla classe e su Davide, mentre pensavo a mamma Matilde. Il calore del sole somigliava a Lei, a tutti quei Bambini che mi circondavano e alla loro Maestra.“Sei commossa?”, mi chiese una bimba. “Il sole mi ha abbagliata”, risposi. Poi la bambina mi invitò ad avvicinarmi a Davide: “Vuoi vederlo sorridere?”. Davide stava facendo una smorfia delicata e i suoi occhi erano vigili mentre ascoltava tre compagnetti che cantavano una canzoncina. Anche il suo braccio si muoveva al ritmo di quelle voci. Sì, stava sorridendo e tutto ebbe un significato ampio e prezioso.

Questo sarà l’ultimo anno di Davide nella mia Scuola. Giorni fa sono passata nella sua Classe per augurare a tutti buon anno scolastico. In sottofondo “Le onde” di Ludovico Einaudi:- “E la Pausini?”, ho chiesto. La Maestra ha risposto: “ Stanno diventando più grandi, pure Davide, ed è giusto che apprezzino anche altro”.

BARBARA

05 lunedì Ott 2015

Posted by ili6 in Articoli, blog, emozioni, io e loro

≈ 56 commenti

Tag

affido, blogger, compleanno blog, crisi di panico, diario di una maestra, impotenza, istituto dei minori, maestre, pc, Piccolo Principe, primo post, scuola, suore, vita

La scorsa settimana sono capitate alcune cose che,  lette in un certo modo, possono definirsi coincidenze atte a farmi pubblicare questo post. E’ stato il mio primo scritto affidato all’etere  quando non avevo un blog e non ero una blogger. Un post pubblicato nel blog di Lucetta, carissima amica, che invitò i suoi lettori non blogger a scrivere  qualcosa da lei in un’apposita sezione che si perse  quando ci fu la migrazione da WL a WP e che  sparì dal mio vecchio computer quando  fu traumatizzato da un fulmine.

 La scorsa settimana ho finalmente cambiato quel pc  che aveva fatto sparire tanti file. Il tecnico ha ritrovato ciò che era rimasto intrappolato nel disco madre, ma non più visibile. E’ stata una gioia sapere di non aver perso nulla. Nel frattempo WP mi invia gli auguri per il mio quinto compleanno – blogger: grazie, WP!

“Colpa” di questi lunghi cinque anni e dei tre su Windows Live fu proprio questo  post, questa pagina di diario di una maestra che mi fece credere che potessi scrivere  perché  altri leggessero.

Pubblico questo post  perché è nel mio cuore e desidero non si perda più e perché rappresenta l’ inizio di una bellissima avventura, quella di blogger,  la cui la continuazione, però,  sta divenendo, per vari motivi,  sempre più incerta.

Mi scuso per la lunghezza, ma ci sono dei post che non si possono spezzare.

Duy Huyng original

Duy Huyng

Barbara

La prima volta che ti vidi mi colpirono i tuoi occhi: tondi, grandi, scuri,  mai fermi. La tua massa di capelli neri si confondeva con l’abito della suora che ti accompagnava in classe. Tenevi stretta la sua mano, stavi poggiata a lei, ma non ti nascondevi; eri curiosa e in attesa di qualcosa, forse di un contatto.

Feci finta di non capire il tuo nome, ti chiesi di ripeterlo, di scandirlo, giocai con le sillabe: ”Ti chiami Brabrà? No, Barbra?” Ti mettesti a ridere.:-BAR-BA-RA- gridasti al mio orecchio e mi sfiorasti la guancia. Fu il nostro primo contatto, il primo di tanti altri.

Conoscevo la suora e mi bastò un suo sguardo per capire che con te nulla sarebbe stato semplice.

 E così fu.

La prima elementare scivolò tranquilla. A scuola stavi bene, avevi voglia di imparare, di giocare, di stare coi compagni. Sembravi serena e che ti trovassi bene anche in istituto. Il sabato pomeriggio tornavi a casa, in un paese poco distante, e il lunedì riprendevi la vita di scuola e di istituto.

Ricordo che a febbraio cominciasti a leggere le prime frasi; quasi urlavi nel leggere le parole, volevi che tutti ti ascoltassero.Sorridevi spesso e questo mi piaceva tantissimo anche perché allontanava i pensieri bui che avevo quando guardavo i tuoi occhi profondi e inquieti.

Non so cosa accadde durante l’estate, potevo forse immaginarlo. Quando tornasti a scuola, della bimba tranquilla che conoscevo era rimasto ben poco. La suora  fu restia nel dare informazioni, mi disse che non saresti più tornata a casa per il week-end, ma una domenica ogni due mesi per ordine del giudice dei minori.

Si evidenziò subito un’inquietudine che non ti permetteva di stare ferma, di concentrarti e i rapporti coi compagni diventarono immediatamente conflittuali: esplodevi per ogni sciocchezza, litigavi per tutto e con tutti. L’interesse verso lo studio, la curiosità, la voglia di fare si azzerarono. Sfidavi le insegnanti con lo sguardo e sfuggivi ad ogni loro contatto. Spesso evitavi i miei occhi, ti tappavi le orecchie se cercavo di parlare con te. Ti piaceva sempre, però, ascoltare quando leggevo una storia, una fiaba, un racconto; in quei momenti i muscoli del tuo viso si distendevano e gli occhi divenivano luminosi.

La tua prima crisi di ansia mi sconvolse.Non seppi cosa fare, come aiutarti. Eppure lo avevo letto e studiato, ma in quel momento, mentre ti dibattevi a terra, urlando e scalciando, grondando sudore, mordendoti le mani, rimasi inebetita. Riuscii solo ad allontanare sedie e banchi perché non ti facessi male. Cosa aveva scatenato la crisi? Un temperino, un misero temperino conteso con un compagno. Con molto sforzo riuscii a bloccarti sdraiandomi quasi su di te. Non ricordo quanto durò, 4-8 minuti, e cosa accadde dopo, ricordo solo il tremore di entrambe.

Le crisi si ripeterono spesso negli anni seguenti, senza apparente motivazione. Ormai sapevo come aiutarti: dovevo sollevarti dal pavimento. Stesa a terra la tua forza era incredibile: scalciavi e battevi ovunque la testa. Ti prendevo di peso, faticavo a metterti eretta, tu cercavi il contatto con il pavimento e urlavi, prendevo calci, mi bagnavo del tuo sudore, mi dibattevo come te, poi bloccavo le tue braccia da dietro, in posizione antipanico e lentamente andavamo verso una sedia. Ti facevo sedere sopra le mie gambe e cominciavo a cullarti e pian piano, mentre ti liberavo le mani e ti accarezzavo le tempie, ti calmavi. Cominciavano a scendere dai tuoi occhi lacrime silenziose e alla fine quasi ti addormentavi tra le mie braccia. Restavamo così, ferme, spossate, senza parole. I tuoi compagni ci guardavano spaventati, smarriti. E spaventate e smarrite eravamo anche noi.

Quante volte mi chiesi il perché! Volevo capire per aiutarti, per meglio intervenire. La suora non parlava, così cercai i tuoi genitori e riuscii, dopo mesi, a incontrarli a scuola, parlai con loro e …tornai a casa col cuore gonfio di dolore.

Presi contatto con le assistenti sociali ma da loro ebbi solo notizie vaghe. Sul tuo caso vigeva il silenzio, nemmeno le maestre dovevano sapere e poco importava che loro trascorressero con te cinque ore al giorno, ogni giorno! Potevamo solo intuire le situazioni che scatenavano la tua rabbia verso il mondo, intuire e nulla più.Eravamo sole, cara Barbara: noi insegnanti, la scuola e te.

Coinvolsi i genitori degli altri bambini che si mostrarono comprensivi e sensibili e diventasti la mascotte della classe. Parlai chiaro con le suore dell’istituto e cominciai a pretendere per te. Chiesi scarpe e vestiti decenti, la visita oculistica e dentistica, persino un nuovo taglio di capelli.

A scuola riuscivi comunque ad apprendere, l’ intelligenza ti permetteva di imparare senza studiare. A tratti mostravi curiosità verso il nuovo, voglia di fare, eri un’ottima organizzatrice di giochi, mi aiutavi in molte cose, collaboravi e quando stavo male o ero molto stanca, ti adoperavi per ottenere la calma e il silenzio.

Alcuni pomeriggi venni a trovarti in istituto e riuscii a portarti fuori. Ricordi quando a casa mia ascoltammo musica gustando la pizza? E quella volta che andammo a fare shopping? Andammo un paio di volte anche a messa insieme; ti piaceva andare in chiesa, cantavi come un angelo ed era delizioso sentirti pregare. Tu pregavi ed io chiedevo al Signore perché eri nata in un posto sbagliato. Non ho mai trovato risposte alla mia domanda.

Era bello stare con te, stavamo bene insieme, ma avevo anche paura: non eri mia, non potevi esserlo anche se lo avessi fortemente voluto, non potevo affezionarmi troppo, avrei sofferto dopo, e avresti sofferto anche tu. Lo sapevamo entrambe, ma sapevamo che stavamo vivendo attimi di gioia e che poi avremmo pagato un prezzo, il prezzo della felicità.Sono certa che ricorderai cosa disse la volpe al Piccolo Principe, quel capitolo lo abbiamo letto insieme molte volte.

In quarta elementare, al rientro delle vacanze pasquali, avesti una crisi più forte delle altre, tremenda. Quando ti calmasti andammo in cortile. Notai dei lividi sulle tue gambe, cercai di chiederti qualcosa, evitasti le risposte, cambiasti discorso. Non ce la feci a insistere, rischiavo di scatenare altre crisi o forse non volli insistere, non volli sapere.

L’abbraccio che ci scambiammo a fine anno scolastico fu intensissimo, forse stavamo intuendo che sarebbe stato l’ultimo. Salisti sul bus che ti portava in istituto e con la mano mi inviasti un bacio.

In estate ti cercai in istituto, volevo portarti al mare e la suora mi informò che eri partita; il giudice aveva ordinato il tuo trasferimento in un altro istituto, fuori regione, lontana dalla tua famiglia. Non aveva disposto l’affido o l’adozione, solo l’allontanamento totale dalla tua famiglia sino alla maggiore età.

Tornai a casa in silenzio, la schiena china, gli occhi lucidi. Soffiava un vento caldo, non lo sentivo, avevo invece tanto freddo. Era il prezzo della felicità.

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