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Marirò

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Marirò

Archivi tag: I miei racconti

Parlami di Lei

22 giovedì Ott 2020

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Senza categoria

≈ 44 commenti

Tag

confidarsi con gli sconosciuti, e-mail, I miei racconti, mondo digitale, scrittura catartica, sfoghi, tradimento

A Elena piaceva il sito web della sua azienda. A volte la sera entrava per aggiornarsi, per comunicare nella chat o nelle mail coi colleghi, specie con quelli delle filiali estere e certe volte anche col marito, dipendente della stessa ditta, quando era in trasferta. Il sito era ben impostato e con funzionalità che Elena scopriva di volta in volta. Il gruppo web della sua filiale era costituito da una cinquantina di persone e questo permetteva di conoscersi tutti meglio, durante le giornate lavorative si potevano incontrare pochi colleghi e sempre frettolosi.

Nelle ultime settimane Elena aveva avuto delle lunghe conversazioni, via chat e mail, con Guenda, la dolce ragioniera del terzo piano. La sua mamma si stava spegnendo e Elena aveva cercato di aiutarla raccontando l’esperienza vissuta anni prima in famiglia. Guenda era molto triste e un sabato sera Elena le inviò una mail:

-Parlami di Lei, se ti va.

La mail per errore fu inviata a tutti i componenti del gruppo. Elena si rese conto dello sbaglio quando già era a letto e decise che l’indomani avrebbe inviato le scuse al gruppo.

Quando la mattina seguente accese il computer notò che era già tardi: aveva ricevuto nella notte una decina di mail di risposta. C’era quella di Guenda con un ritratto tenero e commovente della madre. C’erano alcune risposte di colleghi che chiedevano una spiegazione, chi con un semplice punto interrogativo, chi con frasi del tipo :-Dici a me?

Trovò divertentissima la mail del direttore Osvaldo sulla sua cagnolina. Descriveva una “Lei” impertinente, testarda e deliziosa che ne combinava una al giorno. La “Lei” dell’avvocato era Belen; ne era follemente innamorato e ossessionato. Raccontava dei sogni masturbatori che faceva, delle migliaia di foto che ritagliava dai giornali e di tante altre stupidate. Diversa la posta di Anna, sua collega vicina di stanza, con un lungo e sincero sfogo sulla figlia quindicenne inquieta e ribelle che stava mettendo in crisi tutta la famiglia. La “Lei” di Piero era la fidanzata, una tipa Alfa che gli stava scombussolando la vita. Elena si sorprese nel leggere situazioni alquanto crude e, pensando al piglio dirigenziale di Piero, mai avrebbe immaginato che si lasciasse dominare da una donna in modo tanto forte e distruttivo.

Confusa, spense il computer senza sapere bene cosa fare. Ignorare la posta ricevuta? Limitarsi a spiegare l’errore commesso? Rispondere? Anna, Guenda, Piero avevano scritto storie personali, intime, segrete. Le avevano scritte a lei e magari attendevano una risposta, un consiglio, un parere, un qualcosa. Ne sarebbe stata capace? Turbata, decise di non dire nulla al marito e di riflettere meglio.

La sera riaccese il computer con la speranza che la storia fosse già finita. Invece trovò ancora risposte, parecchie scherzose, altre molto serie e strettamente confidenziali. La “Lei” era la dipendenza da cannabis, la suocera megera e cattiva, la moglie ormai insopportabile. Tutte le mail erano ricche di considerazioni e particolari. Erano veri e propri sfoghi, tormenti che da tempo aspettavano di uscir fuori e che avevano trovato nella scrittura una forma di catarsi e in lei, una semisconosciuta,  la destinataria di fiducia. Da un lato si sentì onorata, dall’altro completamente spiazzata. Con loro aveva solo rapporti di lavoro o poco più. Cosa avrebbe dovuto fare? Come si sarebbe presentata in ufficio l’indomani? Non poteva affrontare da sola la situazione, doveva parlarne con suo marito, spiegargli l’accaduto e farsi consigliare. Lui era saggio, conosceva i colleghi meglio di lei e da molto tempo. Sì, ne avrebbe parlato con Andrea non appena fosse rientrato.

Ma dov’era Andrea? Presa dai pensieri delle mail quasi non ricordava nulla di quella domenica non ancora trascorsa. A che ora era uscito? Per andare dove?

Fu mentre cercava il cellulare per chiamarlo che sentì un beep di ricezione posta. Era la mail di Viviana, la bella del piano alto.

“Ciao Elena, vuoi che ti parli di Lei?

Si chiama Elena ed è la moglie di Andrea, il mio amore da due anni. Adesso lui sta tornando a casa da Lei. Vuoi che continui questa mail? Fammi sapere.

Viviana “

Elena rimase immobile per un tempo indefinito. Non sentì Andrea entrare in casa e non capì cosa le stesse dicendo. Notò solo che lui teneva in mano un sacchetto di frutta e un vasetto di menta. Si alzò lentamente e indicò al marito lo schermo del pc. Poi guardò il vasetto e la frutta e disse:-<<Portali a lei e non tornare più>>.

Lo yacht

23 domenica Ago 2020

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Senza categoria

≈ 36 commenti

Tag

cicalecci, costume e società, donne sole, estate, I miei racconti, libertà, racconti d'estate, singletudine, yacht

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Foto web presa qui

Era una donna bella, elegante, sola e questo determinava una baraonda di curiosità e sentimenti contrastanti. Divorziata da tempo, un figlio che viveva all’estero, uno o più nipotini, aveva ereditato un piccolo appartamento al mare e da tempo era solita trascorrere lì alcune settimane estive. Cordiale con tutti e nel contempo distaccata da tutti, viveva quei giorni in maniera quasi eterea. Si recava al mare al mattino presto, faceva lunghe nuotate e risaliva a casa quando la gente iniziava ad affollare la spiaggia. Proseguiva la sua giornata curando i fiori del terrazzo e ascoltando buona musica. Tornava in spiaggia nel tardo pomeriggio, quando gli altri erano intenti a preparare la cena e la sera preferiva la compagnia dei libri o di un tablet alle riunioni ciarliere e mangerecce che si svolgevano nelle terrazze degli altri appartamenti. Alcuni la invitavano per una partita a carte, per un gelato o una passeggiata, desiderosi di fare un pochino di amicizia con quella donna sofisticata e sola e di sapere qualcosa in più di lei. Rarissimamente lei accettava.

Di lei si conoscevano il nome e l’attività lavorativa, dirigente di una amministrazione non meglio determinata, e nessuno era certo della sua età poiché, qualunque fosse, la portava benissimo. Alcune signore del complesso estivo la ammiravano per l’eleganza, mai appariscente e sempre adeguata, la invidiavano per il corpo statuario, per il portamento fiero, per la singletudine serena che sembrava vivere. Altre signore, forse la maggior parte, la temevano o la commiseravano perché sola:<<Poveretta, manco il figlio viene per stare con lei qualche giorno>>. Alcuni uomini la guardavano con occhi lascivi, si avvicinavano a lei con mille scuse e cercavano di intavolare pietose discussioni culinarie, mettendosi a disposizione per la qualsiasi. Lei, sempre gentile, li faceva fuori in tre minuti al massimo. Altri signori si limitavano a salutare e rispettavano quel suo modo di vivere in riposo e solitudine e non si univano a certi cicalecci carichi di melliflua curiosità: <<Ognuno trascorre le ferie come crede, se ama stare sola non è un problema. Magari figlio e nipoti li incontra durante l’anno e questi giorni ama trascorrerli in pace>>. Qualcuno storceva il muso: << Ma è ancora giovane e senza un uomo! Almeno qui, attorno alla divorziata non se ne vedono da anni>>.

Le donne sole, specie se belle e indipendenti, ma anche gli uomini che scelgono di essere o di ritornare single, vengono spesso considerati “diversi e sbagliati”, destano curiosità perché escono dal canone tradizionale imposto dalla società e attorno a volte si ricamano interi romanzi dai finali inquietanti. Lei sapeva e non se ne curava. Si infastidiva solo quando negli altri si innescava una specie di affanno finalizzato a cercarle un compagno. E si allontanava.

In quel condominio l’affanno cessò la volta in cui uno yacht arrivò improvviso e silenzioso nel tardo pomeriggio e ogni attività sul litorale si bloccò. In quella baia non si erano mai viste imbarcazioni lussuose, solo qualche motoscafo. Bisognava spostarsi tre-quattro baie più avanti per ammirare una imbarcazione come quella che ora tutti, bambini, ragazzi, donne e uomini, stavano guardando in silenzio. Dopo l’iniziale stupore scattò una strana animazione: foto, selfie, video, nuotate lontane quasi a raggiungere il panfilo per farsi notare dai proprietari. Tutti cercavano di capire chi, cosa, come e perché.

Ai due uomini vestiti di bianco che avevano gettato l’àncora si aggiunse un terzo uomo in pantaloncini e maglia scura che dal ponte guardava verso la spiaggia. I due uomini in bianco scesero un canotto e uno di essi lo avvicinò alla riva, restando in attesa.

Di cosa? Di chi? Si chiesero tutti.

Di lei.

Dieci minuti dopo lei scese in spiaggia con andatura lenta, pareva danzasse nel suo completo pantalone blu e ecrù. I capelli ramati erano legati in una coda e un borsone bianco ciondolava elegante dalla sua spalla. Indossava dei grandi occhiali scuri e in mano teneva un cappello di paglia. I bagnanti ora guardavano solo lei, bellissima, lei che si avvicinava alla battigia, lei che faceva un cenno con la mano verso il panfilo, lei che toglieva i sandali e arrotolava i pantaloni, lei che con agilità entrava nel canotto per raggiungere lo yacht. La videro salire la scala dell’imbarcazione e raggiungere l’uomo vestito di scuro. Il silenzio fu assoluto quando i due si abbracciarono sul ponte. A lungo.

Il crepuscolo era ormai avanzato quando le luci del panfilo si accesero rilasciando riflessi dorati sull’acqua. I due uomini in bianco tornarono a riva col canotto, dove non era dato sapere, non interessava. Tutti erano attratti dalle luci riflesse sul mare e dalle sagome della coppia a bordo.

Quella sera alcuni rientrarono a casa molto tardi, altri consumarono la cena di fretta e andarono sul lungomare a prendere il fresco. Lo yacht era sempre lì, con le sue luci accese, la sua storia e i suoi sogni.

La mattina dopo lo yacht non c’era più e anche lei non era nel suo appartamento. Tornò nel condominio due giorni dopo e preparò le valigie. Prima di chiudere la casa salutò cordialmente le signore del complesso. Tutte si accorsero che aveva una abbronzatura ancora più bella e ognuna a suo modo fu contenta che lei fosse rientrata in quella che i più consideravano “quasi normalità”.

<< Voglio tornare single!>> esclamò dopo un po’ la signora più simpatica del complesso mentre ritirava una montagna di biancheria dallo stendino. Poi sorrise al compagno di sempre.

Brezza

09 martedì Apr 2019

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Senza categoria

≈ 48 commenti

Tag

auguri, Brezza di primavera, gioventù, I miei racconti, Pasqua, primavera, racconto, ricordi

Buona PRIMAVERA, serena PASQUA! Che siano armoniose e cioccolatose.

brezza

Pomeriggio umido e noioso, tipico di una primavera che non si decide a esplodere. Il cielo nuvoloso contribuisce a questa forma di apatia che a volte colpisce a tradimento. In palestra la fatica e il sudore si triplicano e voglio subito andare a casa a fare una doccia. Così indosso la felpina color grigio smorto, afferro la sacca e via. Questo misto di stretching, pilates e posturale farà anche bene dopo la caduta dalla bici, ma è zero entusiasmante. Anche il gruppo di signore e signorine è alquanto monotono e tedioso. Bah,…qualche altro mesetto e  poi cambio rotta, forse piscina, forse tennis,…mi pare di essere già vecchia a 20 anni! Ok, ok, diamoci una mossa che ho un invito a cena e devo portare qualcosa di pronto. Ecco, devo comprare il prosciutto e il parmigiano, quindi ci vuole una sosta al supermercato.

Poca gente nei corridoi. L’apatia colpisce in massa? Prendo le quattro cose che servono e mi avvio verso le casse. Sono tre e in ognuna ci sono due persone in fila. Scelgo la prima, la commessa mi sembra un filino più sorridente e veloce delle altre. Conosco le tre ragazze alle casse anche se confondo ancora i loro nomi, sono sempre le stesse da anni; a volte sono ciarliere coi clienti e tra loro e pronte alla battuta accogliente e spiritosa, altre volte sono ombrose e silenziose. In questo momento sono tutte zitte e prese dal lavoro fatto di gesti sempre uguali e monotoni, nonostante la varietà della clientela. Evidentemente noi clienti del momento siamo più mosci di loro.

Ma ecco che accade qualcosa e tutto cambia: arriva una Brezza e… l’afa sparisce, l’aria si riempie di voci allegre, di saluti, di sorrisi, di battute, di simpatia. La Brezza indossa dei jeans attillati e una camicia azzurra, ha i capelli castani arruffati, una barbetta appena accennata, occhi nocciola e un sorriso da urlo.

Non è ancora arrivato alle casse e già le tre commesse si sbracciano per salutarlo e lo stesso fa lui. Resto ipnotizzata: “Ti prego, ti prego, vieni alla cassa 1….” Macchè! Si dirige alla cassa 3, la più lontana da me. Sempre fortunata io, eh! Ma forse è meglio così. Sono un disastro con questa tuta anonima, i capelli raccolti a coda alla meno peggio, lucida di sudore e magari sto puzzando. Da domani in palestra si andrà con trucco, scarpe alte e minigonna. I camerini ci sono per cambiarsi, uffa!  Mi do un contegno e guardo senza interesse un espositore di dolcetti, ma la sua voce, ahhh…mescola la mia pancia e i miei ormoni.

 La Brezza ride e scherza con le commesse, fa domande, risponde ammiccante. Mi volto a guardarlo: è uno schianto, un sogno, un’oasi. Io sono trasparente per lui: si gira, si muove, aiuta una signora coi pacchi, parla, sorride. Le commesse si scordano di noi e noi ci scordiamo del mondo perchè ora è lui il mondo. E’ lui il cielo azzurro come la sua camicia; lui la terra fresca e morbida come i suoi riccioli; lui la forza che fa vibrare l’aria come la sua voce. Imbambolata, mi ritrovo a implorare in silenzio: “Guardami, parlami, avvicinati, sfiorami!” Poi la Brezza si avvicina all’espositore di dolcetti,… Dio quanto è vicino, adesso! Sento la fragranza del suo profumo, un misto di sandalo e patchouli. Ma che fa? Prende una confezione di ovetti di cioccolata e la apre: “Per te” dice, mentre mi porge un ovetto. “Per me…, l’ha detto A ME!” Prendo l’ovetto incapace di dire una parola. Brezza distribuisce un ovetto alle commesse, ai due clienti in fila alle casse e incanta tutti.

Intanto la commessa mi sta chiamando, è il mio turno.  Mi accorgo che anche lui sta pagando e spero che usciremo insieme, spero di scontrarmi coi suoi pacchi, di inciampare tra i suoi piedi:”Daiii, fammi pagare o lo perderò per sempre!” Lui ha finito, sta salutando tutti mentre si incammina verso l’uscita. E io? Io resto bloccata da un rotolo di scontrino finito e che deve essere sostituito, cavolaccio!

Lo guardo uscire, il suo lato B è incantevole come il lato A. Sorrido a questo pensiero da ormoni sconnessi, sorrido e finalmente sciolgo la tensione e cancello il grigiore. Esco in tempo per vederlo salire su un motorino e andare via con una sventola di bionda. In mano ho il suo cioccolatino. Lo scarto, lo assaporo e vado verso casa con una energia diversa.

Tanto io in quel supermercato ci torno, eccome se ci torno! 😉

 

 

 

Bolero

31 lunedì Lug 2017

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Musica, Senza categoria

≈ 56 commenti

Tag

Agosto, Bolero di Ravel, catarsi, condomini, convivenze, estate, I miei racconti, Maya Plisetkaya, musica, racconti sotto l'ombrellone

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Cris abita in un palazzetto un po’ aristocratico e un po’ demodè da quasi un anno. Un voluto trasferimento lavorativo l’ha portata in quella bella e fredda città del Nord e, benchè le manchino tanto il suo Sud e la sua famiglia, non se ne lamenta e considera tutto come una necessaria parentesi di vita o come una opportunità di cambiamento. La città è interessante, c’è sempre qualcosa da vedere nei  pomeriggi liberi: mostre, monumenti, paesaggi, quartieri eleganti. Per il resto le sue conoscenze si fermano all’ambito lavorativo e, seppur superficiali, tra qualche famigliola del palazzotto. Non ha ancora chiaro chi abiti quei nove appartamenti, sa che in quello sopra di lei sta una anziana coppia di coniugi, peraltro fredda e distaccata, tipico di chi non vuole avere rapporti con “stranieri”, in quello di fronte vivono due sorelle avanti negli anni con cui ha preso qualche the e speso alcune chiacchiere e l’appartamento sotto è di un vedovo, un cardiologo che vi abita  con due ragazzini e l’anziana madre, signora gentile e sorridente, forse l’unica ad averla accolta in quello stabile, dopo il portiere. Cristina non dà fastidio a nessuno, è attenta alle regole di civile convivenza e non ha tempo e voglia di instaurare vere amicizie. Aspetta Ferragosto per ritornare a casa sua, dove il cielo è azzurro come i suoi occhi e il mare ha tutte le tonalità del blu. Dove ha lasciato lui. Dove forse lui non l’attende più.

Pochi giorni fa, però, in una notte calda e stellata, per la prima volta Cristina arrecò disturbo e qualche scompiglio tra gli abitanti del condominio. Inquieta e pensierosa, si sentiva sola come non mai e ebbe una decisa crisi di nostalgia per la sua famiglia, per gli amici, la sua casa, il suo blu. E per lui.
Per calmarsi era necessaria un po’ di buona musica; Cristina sapeva che era già trascorsa l’una e poteva infastidire qualcuno, ma al diavolo tutto e tutti. Così accese lo stereo a tutto volume e le note del Bolero di Ravel invasero i suoi pensieri, l’appartamento e lo stabile. Quella melodia uniforme, ripetuta e crescente, pazza e provocatoria, lei sa anche ballarla, non su un tavolo come vide magnificamente fare a una ètoile a teatro, ma a piedi nudi su un tappeto. E’ una musica che le ha sempre dato forza, magia, catarsi e sostegno. Così, al lieve attacco del flauto, Cristina accennò qualche timido passo di danza per prendere il ritmo e, quando sentì l’ingresso del clarinetto e del fagotto, tentò di svuotare i pensieri e iniziò a infondere plasticità al suo corpo con semplici movimenti geometrici. Ah, se lui l’avesse vista in quel momento mentre alzava lentamente le braccia o inarcava la schiena: sarebbe rimasto incantato! Ma lui, il suo lui, chissà dov’era.   Nella partitura entrarono altri gruppi strumentali dagli impasti timbrici sempre più complessi e raffinati e lei mise forza, ampiezza e stile ai movimenti, seguendo il ritmo del tamburo che le faceva martellare cuore e mente. Cris era straordinaria nella sequenza crescente e sferzante dei movimenti, sempre più sensuali e decisi. Accompagnava il crescendo musicale con piroette, piegamenti, abbracci e sguardi sempre più fieri e determinati. Se solo lui avesse incontrato quegli sguardi! Avrebbe capito che lei stava affrontando tutto con estrema forza per il loro futuro. Avrebbe meglio compreso l’ opportunità che gli stava offrendo con quel lavoro al Nord: lasciare tutto e tutti per correre da lei, per cambiare vita, insieme, per sempre.
La musica del Bolero si avvicinava al culmine con la progressiva partecipazione di tutta l’orchestra e riempiva ogni angolo dell’appartamento. Cris sentì lo squillo del telefono e il campanello della porta, sicuramente il portiere e qualche altro suo vicino erano corsi per protestare, ma lei ignorò e continuò la sua danza forsennata, incantatoria, orgiastica. No, no, lui non l’avrebbe mai seguita, non sarebbe stato capace di dare un colpo di spugna a quel tanto o poco che aveva costruito laggiù, e lei lì non poteva farne parte. No, no…era arrivato il tempo di chiudere.
Nell’accordo dissonante finale del Bolero si ritrovò a terra in posizione balasana. Lentamente riprese a respirare, aprì gli occhi e, nel silenzio ritrovato, attese che il ritmo del cuore tornasse normale. Poi si sdraiò supina e stette a lungo a osservare gli stucchi del soffitto di quella stanza. Sentiva movimento sulle scale e qualche borbottio e decise di non farci caso. Si alzò, fece una lunga doccia, poi andò a dormire senza sogni.
Il pomeriggio seguente preparò dei biscotti al pistacchio e cannella, antica ricetta di famiglia, e ne lasciò due vassoi in portineria per chi avesse voluto assaggiarli. Accompagnò i vassoi con un biglietto di scuse rivolto a tutti gli abitanti del palazzo. Il portiere non mancò di riferire qualche lamentela e la pregò di non ripetere l’accaduto.

La domenica si annuncia assolata, ma non caldissima grazie al maestrale e Cris decide di andare a pedalare sul lungofiume. Mentre sta per uscire il portiere la blocca e la informa che i biscotti erano buonissimi e sono stati molto graditi,  soprattutto dalle sorelle dirimpettaie, dal cardiologo e da sua madre. Quest’ultimo ha lasciato per lei un biglietto : “Ottimi sia i biscotti che le note vorticose dell’altra notte. Si potrà ripetere, ogni tanto. Armando.”
Cristina adesso sa il nome del medico incrociato tre o quattro volte sulle scale con distratti buongiorno e buonasera. Di lui non sa altro, solo poche notizie dette dalla madre quando entrambe scambiano due parole mentre si ritrovano a stendere i panni nei rispettivi balconi.
Qualcosa le dice che ci sarà modo e tempo per saperne di più.

Sereno e felice Agosto a chi passa da qui

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