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Tra poco più di un mese tornerò a scuola e accoglierò gli alunni nel modo più festoso possibile. Saranno contenti di rivedersi e rivedermi, di riprendere il lavoro e giocare tra i banchi. Racconteranno dell’estate, dei giorni al mare, delle passeggiate, delle festicciole, della loro vita che scorre tranquilla e ricca di tante piccole cose. Sono alunni vivaci, sensibili, intelligenti e parecchio curiosi e a questo sto contribuendo anche io che li ho sempre sollecitati ad esserlo, a chiedersi il perché di ciò che accade, che leggono o vedono in tv.
Ecco, la tv…non è gentile coi bambini e non si fa scrupolo nel mostrare immagini cruenti che li spaventano. In queste settimane abbiamo visto foto e scene tremende e sentito notizie agghiaccianti dai luoghi di guerra, notizie che riguardano anche i bambini e che altri bambini vengono a conoscere.
Cosa potrei dire se dovessero chiedere di ciò che sta accadendo sulla striscia di Gaza? Come potrei rispondere se chiederanno perché si lanciano razzi sulle scuole, sugli ospedali, sulle case delle persone, sui rifugiati? Perché si uccidono intere famiglie mentre stanno pranzando? Perché si rapiscono e uccidono dei ragazzini da una parte e degli altri dall’altra parte? Quali risposte potrei dare se volessero sapere perché in questa guerra si usano i bambini come scudo umano? Non lo so, davvero non so cosa potrei rispondere. Non c’è una risposta se non legata a doppio filo alla spietatezza umana. Potrei dire di discuterne coi loro genitori, ma sarebbe una risposta vigliacca. Potrei parlare di odio razziale, di follia, di vendetta o di interessi economici tanto forti e beceri da far valere zero la vita di un essere umano, ma sarebbero risposte sbagliate da dare a dei bambini di nove anni. E allora? E allora è difficile, tremendamente difficile parlare di guerra ai bambini e ancor più di questa infinita guerra tra israeliani e palestinesi. Una guerra strana, insolita, a ondate, ma non per questo senza lutti, distruzione e miseria. Una guerra le cui motivazioni sfuggono anche a noi adulti e forse anche agli stessi uomini che lottano da oltre tre generazioni. Una guerra alla quale una grande parte di mondo guarda come fosse una partita di calcio, con tanto di tifoserie, e una piccola parte di mondo funge da “allenatore”: una partita che s’ha da fare. Ma perché?
Inizierei con le rassicurazioni, sì, prenderei una carta geografica, segnerei i luoghi e direi che sono lontani, tanto lontani e che una cosa simile da noi non accadrà mai. Non che sia vero, non che noi siamo esenti dalla follia umana, magari fosse così, ma la prima cosa da fare è tranquillizzarli, cercando di essere credibili, forzando persino la realtà. Perché i bambini hanno paura della guerra, come e più degli adulti ed è una paura che può lasciare grandi segni. E non oso immaginare cosa stiano provando i bambini che vivono nei luoghi della guerra.
Dai 6 agli 11 anni i bambini sono in grado di distinguere la realtà dalla fiction e si rendono conto della gravità di quanto vedono in tv. Possono immedesimarsi nell’ evento e pensarsi potenzialmente coinvolti, ma, a differenza di un adulto, non hanno gli strumenti per razionalizzare e circoscrivere la sensazione di rischio. Diventa quindi fondamentale tranquillizzarli sull’ impossibilità che una cosa del genere possa capitare a loro. E poi? E poi dovrei spiegare qualcosa, magari in grandi linee, restando quanto più possibile neutrale, usando un linguaggio chiaro, semplice, ma anche veritiero e, se possibile, aperto alla speranza di pace.
Andare indietro, molto indietro nella Storia per i bambini non avrebbe senso perché i bambini hanno un senso della Storia, del passato, molto stretto: loro sono presente e sono soprattutto futuro. E sinceramente non ha nemmeno tanto senso per noi adulti, pur rispettando la Storia, continuare a cercare motivazioni risalenti a duemila anni fa e farne scudo. Spiegare quella Storia a un bambino sarebbe come dirgli : questo è il tuo banco perché in questo banco duemila anni fa si sedette un tuo antenato e quindi riprenditelo. Ma un altro bambino direbbe che dopo fu un suo lontano parente a sedersi in quel banco lasciato vuoto e ora appartiene a lui.
Un banco potrebbe far da guida alla discussione collettiva.
Marco, che trova spesso belle soluzioni, interverrebbe per dire che c’è in classe una maestra che può decidere chi dovrà sedersi in quel banco e che potrebbero sedersi in due nello stesso banco, dividendolo. E qui il discorso si complicherebbe. Perché quei due bambini che litigano da tempo per lo stesso banco sono orgogliosi e prepotenti e hanno vari amici che li incitano a non demordere dalla lotta della conquista. Ci sono gli amici di Tizio che vogliono che lui sieda lì così potranno copiare i compiti di matematica e gli amici di Caio che invece desiderano fortemente che sia Caio a stare in quel banco perché porta sempre tanti giocattoli a scuola. E gli “amici” addirittura aiutano l’uno e l’altro a lottare e sotto il banco passano cerbottane e noccioline affinchè la battaglia possa essere svolta meglio e vinta. E poi c’è la maestra che assegna i posti, discute e, se necessario, alza la voce. Il banco, come tanti altri banchi, ha lati migliori e parti più malconce, ha tesori nascosti e giardini a vista, zone al sole e zone d’ombra. Così è e bisogna, e occorre, e si può e si deve stare insieme. Basta volerlo, basta impegnarsi, basta amare la pace. Ma Tizio e Caio non vogliono la pace, vogliono il banco tutto per sè. E sempre sgomitano, si spingono, lanciano palline di carta, si pungono con le matite, si fanno male, tanto male, e fanno star male tutto ciò che sta sul banco e attorno.
La conclusione quale potrebbe essere? Laura, sempre sagace nelle risposte, direbbe che Tizio e Caio sono entrambi in torto e che il loro continuo bisticcio è inutile e porta solo a stare peggio. Direbbe anche che nella classe ci sono tanti altri banchi e non tutti sono belli e comodi, ma ognuno ha accettato il suo posto e lo cura e lo rende al meglio per star bene e Tizio e Caio dovrebbero fare come fanno gli altri: accettare e rispettare. Davide, il razionale, proporrebbe un nuovo muro, un muro di libri che separerebbe ben bene quel banco conteso e così ognuno avrebbe il suo spazio. Magari costruirebbe delle finestrelle in quel muro, dei ponticelli che potrebbero servire se e quando i due contendenti decideranno di fare la pace. Ma quel nuovo muro continuerebbe a subire spinte e spostamenti, crolli e rifacimenti se Tizio e Caio non la smetteranno di volere sempre di più.
Parlerebbe persino la timida Mariella e direbbe che i bisticci sono una gran brutta cosa e non vince mai nessuno perché alla fine tutti si fanno male. E aggiungerebbe di essere felice che nella sua classe non ci siano banchi coi muri e che lei in una classe in guerra non vorrebbe mai trovarsi.
Il sornione e sempre affamato Gabriele potrebbe porre fine a una discussione difficile con una delle sue battute:” Signora maestra, avrei un certo languorino e direi che è giunto il momento di fare ricreazione”. Ma temo che questo non accadrà perché certe discussioni, certi fatti, fanno passare anche il più sano degli appetiti.
