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Marirò

~ "L'esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque"

Marirò

Archivi tag: figli

Piccole, grandi, preziose storie.

28 venerdì Set 2018

Posted by ili6 in Articoli, scuola, Senza categoria

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Tag

amicizia, bambini, crescere insieme, disabilità, donne, educazione, figli, Giacomo Bertoni, Ludovico Einaudi, maestre, mamme, scuola, vita

Un bellissimo scritto di Giacomo Bertoni, suggerito da Lucetta, mi ha riportata alla storia di una Mamma e di suo Figlio e anche alla storia di una Scuola, di una classe di Alunni e dei loro Insegnanti. Una storia bella e importante, pur nella sua drammaticità, una delle tante piccole e preziose storie che esistono in questo mondo e che passano troppo in silenzio. Conoscere queste storie, viverle in qualche maniera, dà sempre i brividi e lascia attoniti per la forza e l’amore che le permeano.

Lei, la Signora Matilde. puoi incontrarla ogni giorno a Scuola. Accompagna Davide sin dentro l’aula poco dopo il suono della campanella, si ferma nella classe qualche minuto e viene a riprenderlo all’uscita prima delle altre mamme. A volte le fa compagnia la figlia maggiore, rarissimo quando ad accompagnare Davide è il papà per via degli orari di lavoro. Davide frequenta la quinta classe della Scuola Primaria, ha 12 anni ed è un ragazzino con gravissimi problemi psicomotori: non riesce a tenere eretto il corpo, si esprime con sguardi, suoni gutturali, urla e smorfie, soffre di ansie e di diabete. Non può fare a meno della sua speciale carrozzina e si alimenta assistito.

Mamma Matilde ogni giorno, col sole o con la pioggia, entra con l’auto nel cortile della scuola, prende dal bagagliaio la carrozzina, poi prende in braccio il figlio e lo sistema sulla sedia a rotelle, lo imbraca per bene e lo accompagna verso il portoncino, seguendo un lungo scivolo. Non sempre usa la sua carrozzina da quando l’Amministrazione Comunale ha provveduto a darne una simile a Scuola e così Matilde, Donna magra e minuta, molte mattine prende in braccio Davide e salgono insieme cinque gradini di scale. Arrivati nel corridoio, sistema Davide nella sedia speciale della Scuola e lo accompagna in classe. Aiuta le Maestre a togliere cappotti e giacchette, attende che Davide si stabilizzi e poi va via. Lo stesso si ripete al contrario all’uscita di scuola. In tutto questo Matilde viene a volte aiutata da qualche bidello, dall’insegnante di sostegno o da qualsiasi docente, genitore, personale di segreteria che in quel momento casualmente si trovi a passare da quell’angolo di corridoio. Tante altre volte fa tutto da sola.

La Signora Matilde è sempre affabile e curata, mai un lamento. Capita, però, di incrociarla disordinata, preoccupata, scura in viso quando viene chiamata dalle maestre per improvvisi problemi di Davide.

Lo scorso anno ho supplito per alcuni giorni la Maestra di Davide. Pur sapendo del bambino e della sua situazione, non nego che il mio primo impatto in quella classe fu terrorizzante, anche perché l’insegnante di sostegno sarebbe arrivata un paio d’ore dopo e idem l’assistente sanitaria. Furono i bambini della classe a dirmi di stare serena perchè mi avrebbero aiutata loro. Mi accorsi ben presto che tutti gli alunni avevano un ruolo preciso: due pensavano a far bere il compagno, sorreggendo la bottiglietta dell’acqua con la cannuccia. Davide sa indicare con un braccio quando ha sete. Due bambine erano incaricate a sorvegliare la testa del compagno, che riesce a stare eretta per una decina di minuti, poi si affloscia: “Bisogna metterla dritta altrimenti Davide respira male e può soffocare con la saliva”. C’erano i compagnetti che si preoccupavano di raccogliere eventuali oggetti che Davide poteva gettare a terra coi suoi movimenti incontrollati, c’era chi si incaricava di spostare la carrozzina perché: “ Davide così può guardare tutto e tutti e soprattutto il sole dalle finestre. Lui ama il sole, ma troppo gli fa male e dobbiamo proteggerlo”.  In un angolo della classe c’era un banco speciale perché Davide potesse lavorare con fogli, colori e materiale speciale.

Tutta la classe agiva e ruotava attorno alle esigenze del compagno in grande difficoltà. Un bambino mi disse: “ Maestra, parla a bassa voce, lui ha paura dei rumori e dei suoni forti”. Meno timorosa, iniziai la lezione senza perdere di vista quel ragazzino, ma non sapevo come rapportarmi con lui. Più volte mi avvicinai e dissi qualcosa di carino sugli adesivi spiritosi che c’erano sulla sedia a rotelle, ma Davide non entrava in contatto con me, non era abituato al suono della mia voce, preferiva guardare alcuni compagni. Poco dopo sentii dei suoni stridenti e i compagni mi avvertirono che Davide si stava innervosendo e occorreva accendere la radio. Li lasciai fare e subito dopo la voce di Laura Pausini si diffuse nell’aula. Una bambina mi spiegò che il compagno ama la Pausini, che si calma quando la ascolta perché sono le canzoni che gli canta la sua mamma: “ Noi siamo abituati a lavorare con questo sottofondo musicale”. Ed era vero; la classe mi seguì e lavorò serenamente.  Quando fu il momento della ricreazione alcuni bambini si misero attorno al compagno per non farlo sentire solo. Parlavano, scherzavano tra loro mentre Davide pareva seguirli con gli occhi e faceva smorfie. Era il suo modo di partecipare. Ricordo che mi avvicinai alla finestra e guardai il sole. Scesero delle lacrime mentre mi chiedevo tanti perché, mentre riflettevo sull’enorme lavoro svolto dalle mie Colleghe sulla classe e su Davide, mentre pensavo a mamma Matilde. Il calore del sole somigliava a Lei, a tutti quei Bambini che mi circondavano e alla loro Maestra.“Sei commossa?”, mi chiese una bimba. “Il sole mi ha abbagliata”, risposi. Poi la bambina mi invitò ad avvicinarmi a Davide: “Vuoi vederlo sorridere?”. Davide stava facendo una smorfia delicata e i suoi occhi erano vigili mentre ascoltava tre compagnetti che cantavano una canzoncina. Anche il suo braccio si muoveva al ritmo di quelle voci. Sì, stava sorridendo e tutto ebbe un significato ampio e prezioso.

Questo sarà l’ultimo anno di Davide nella mia Scuola. Giorni fa sono passata nella sua Classe per augurare a tutti buon anno scolastico. In sottofondo “Le onde” di Ludovico Einaudi:- “E la Pausini?”, ho chiesto. La Maestra ha risposto: “ Stanno diventando più grandi, pure Davide, ed è giusto che apprezzino anche altro”.

Micetta

14 martedì Apr 2015

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti

≈ 74 commenti

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anziani, coppie, figli, imparare a bastarsi, ospedale, sorrisi sdentati, tenerezza, vecchiaia, vita

In quello stanzone di ospedale, dove si è indifesi nel corpo e nell’anima, ho avuto modo, mio malgrado, di osservarli a lungo. Entrambi ultraottantenni, lei inchiodata nel lettino per la rottura del femore, lui su una sediolina di ferro per accudirla in ogni cosa possibile. I due figli maschi della coppia sarebbero arrivati dalla Germania, dove vivono e lavorano da anni, e loro non avevano nessuno a cui rivolgersi o non avevano voluto disturbare altri parenti.  

Lui,  con evidenti difficoltà motorie, chiede al caposala e a tutte noi il permesso di poter restare accanto alla moglie nonostante il reparto esclusivamente femminile. Nessun problema per noi e si sistema su quella sediolina, dividendo il pranzo con la signora. Durante le ore del giorno quando lei dorme, lui si appisola  sulla sedia col pericolo di cadere. Tutte le volte che è necessario gli chiediamo di accomodarsi nel corridoio per  sistemare le nostre ammalate. Lei si preoccupa per lui, ha paura che si stanchi  giorno e notte lì, che cada addormentato da quella scomoda sedia, gli dice di andare a casa che lei se la caverà comunque. E lui a ripeterle: “Non ti lascio.”

Poi arriva per lui una sedia più comoda, portata dalla parente di un’altra ammalata. E arrivano i tranci di pizza, i panini imbottiti, i succhi di frutta che portiamo da casa in doppio.

Quando lei si lamenta per i dolori lui la incoraggia a non pensarci e porta il discorso su cose e situazioni liete del passato, per distrarla, per farla sorridere. E così conosciamo del pranzo di nozze festeggiato nella sagrestia della chiesa con pasticcini, cannoli e rosolio, impariamo la ricetta del “macco di fave” che come lo prepara la signora è una poesia, ascoltiamo delle preoccupazioni per i figli, uno in separazione, l’altro che non intende sposarsi e altri piccoli e teneri aneddoti di quella lunga  vita insieme.

Il sabato di Pasqua l’ortopedico annuncia alla signora le imminenti dimissioni e ordina  un ricovero per un mese  in un centro di riabilitazione fisioterapica. Lui non si scompone: “Non ti lascio, mi farò ricoverare a pagamento e starò con te. Magari farò qualche esercizio per  il ginocchio”. Lei a dire no, si sarebbe annoiato, bastava che andasse a trovarla ogni due giorni e poi occorreva pensare ai gatti di casa.   Ma lui è sicuro e deciso: “Senza te non so cosa fare a casa, i gatti se la caveranno in giro per il quartiere. Io ho da pensare alla mia gattina. Ricordi che ti chiamavo Micetta?”

“ Tanto tempo fa! Mi chiamavi Micetta perché  mi chiamo Domenica,  cioè Micia. Perchè hai smesso di chiamarmi Micetta?”

“Boh, forse perché eri cresciuta. Ora è arrivato il tempo di ricominciare.” E lei fa un bellissimo sorriso sdentato, proprio uguale  a quello dei neonati.

E’ il regalo di Pasqua che si fanno a vicenda.

Nel pomeriggio arrivano i figli: baci, abbracci, sorrisi, regali. Si informano su tutto, sono stanchi del viaggio aereo. Propongono al padre  di sostituirlo per la notte, ma lui dice che non è necessario, che si è abituato a quella sedia imbottita e riesce a dormire . I due figli, quarantenni avanzati,  non insistono e decidono di andare a cenare in un noto ristorante della zona perché hanno tanta voglia di mangiare italiano. Quando vanno via lei sospira: “Ah, questi ragazzi che non crescono!” E lui: “ Ehi, Micetta, stai tranquilla, noi abbiamo imparato a bastarci.”

ALLARME ONU, NEL 2050 PIU' ANZIANI CHE BAMBINI

Foto web

I sorrisi di Renata

17 venerdì Ott 2014

Posted by ili6 in costume e società, emozioni, I miei racconti, Senza categoria

≈ 62 commenti

Tag

amore, convivenza, copie di fatto, coppie, corteo funebre, dolore, figli, funerale, madre, morte, padre, perdita, prima fila, separazioni, sorriso

 

foglia morta

Foto web

Anche Annalisa era andata a quel funerale, pur conoscendo poco quella  signora uccisa da  una malattia fulminante . La notizia aveva lasciato tutti sgomenti e in paese se ne  parlò per giorni.

-E i bambini? Che fine faranno i bambini?

Renata era una bella e giovane donna  e anche in  palestra aveva riscosso tanta simpatia  con le battute sempre allegre,  le parole cortesi e  i suoi sorrisi. Lavorava in  banca e la sera faceva due ore di palestra anche per combattere quel dannato grasso nel sangue che la tormentava da tempo. Alcune volte portava con sé i figlioletti,  che trascorrevano quel tempo  con qualche attrezzo ginnico o coi videogiochi. Annalisa la conobbe  proprio lì.  Chiacchieravano del più e del meno e rimase ben presto contagiata dalla sua serenità e dai  sorrisi. Spesso, all’uscita, un gentile e premuroso signore veniva a prenderla e lei lo aveva presentato come il suo compagno. Una sera fredda e piovosa, Renata e il suo compagno diedero un passaggio ad  Annalisa  sino a casa e lei notò una gran bella atmosfera dentro quell’automobile. Ne fu contenta per quella signora che, si diceva,  avesse sofferto nel precedente matrimonio.

La chiesa era  stracolma e in tutti i presenti si percepiva  incredulità e vero dispiacere. Il dolore dei genitori, della sorella e degli amici più stretti era  evidente e quello dei bambini oltre ogni dire. Sedevano  in prima fila coi nonni e il loro papà.  In seconda fila stava  la sorella con la sua famiglia,  in terza fila la nuova famiglia dell’ex marito di Renata col piccolino appena nato.

Annalisa cercò  quel signore tanto gentile che aveva  conosciuto in quella serata piovosa e lo notò seduto in fondo alla chiesa accanto ad una giovane donna che gli somigliava.

La cerimonia funebre fu  commovente e  lenta, come se nessuno avesse voglia di  staccarsi da Renata. Tutti guardavano quella bara di legno lucidissimo, interamente ricoperta di rose rosa e la foto sorridente che era adagiata sopra.

Finita la messa, la gente si affollò attorno ai genitori per le condoglianze. Qualcuno strinse la mano anche all’ex marito di Renata e fece una carezza ai bambini. Annalisa si sentì soffocare,  uscì  fuori e vide accanto al carro funebre il compagno di Renata. Tanti amici  si stringevano  a lui che si sorreggeva  a quella giovane donna . Era stravolto dal dolore. Annalisa si avvicinò, si presentò  e gli strinse la mano. Lui ringraziò, si ricordò di lei e del passaggio che le avevano dato. Poi le presentò sua  figlia.

I bambini di Renata uscirono  dalla chiesa con il padre che li accompagnò  dentro un’auto. Il piccolo scese dall’auto e corse ad abbracciare il compagno di Renata. Lacrime su lacrime. Il padre lo staccò delicatamente, lo riportò sull’auto e  tornò sul sagrato della chiesa. Renata era ancora dentro  e il  carro funebre la stava aspettando . 

Immobile davanti allo sportellone  dell’auto stava pallidissimo il compagno di Renata,  di fianco al carro funebre c’era l’ex marito, solo, silenzioso, distaccato. La sua nuova famiglia rimaneva in disparte e ora lui, fuori dalla chiesa, lasciava la prima fila all’uomo che da anni aveva  vissuto con Renata, facendo  da padre e da amico ai suoi figli.

Renata  venne portata fuori  e sistemata dentro il carro funebre. Il compagno  accarezzò la bara. I genitori, che non  avevano mai accettato del tutto quel nuovo amore della figlia, si fermarono. Fermo era anche l’ex marito e tutti erano immobili.

 Davanti alla morte tutto si ferma, tutto è silenzio, tutto perde importanza e tutto prende  importanza.

Il compagno di Renata continuò ad accarezzare quel lucido legno con gesti lenti  e delicati e  infine  chiamò l’ex marito :- L’abbiamo amata entrambi. Vieni, avvicinati.

I due uomini si abbracciarono e un lungo pianto liberò in entrambi le emozioni e forse  sciolse  dissidi e rancori.  Si avvicinarono  i genitori , la sorella,  gli altri parenti, gli amici delle due coppie. Qualcuno andò a prendere i figli di Renata  che si sistemarono nella  prima fila di quel triste corteo, tra i due uomini che li presero rispettivamente per mano. 

 Le persone che Renata aveva più amato erano tutte lì,  insieme, vicine,  ognuno  composto nel proprio dolore. Il corteo si avviò.

Annalisa  fu certa che  Renata, ovunque già fosse, stesse sorridendo dolcemente.

separatore8

Sono le 20.00 di una calda serata autunnale e Annalisa si accinge a salutare il gruppo di signore della palestra per rientrare a casa.

-Ricordi Renata? Quella signora dal bel sorriso che è morta meno di un anno fa?

-Sì, certo.

– Domani ci saranno i funerali del suo compagno. Qualcuna di noi andrà. Vuoi venire?

-Cosa è accaduto? Un incidente?

-No, si è lasciato andare, non si curava più, non aveva più stimoli per vivere senza Renata e senza i suoi bambini.

Interviene un’altra signora: -Tutti quegli abbracci al funerale di Renata… L’ex marito è stato crudele, non gli ha permesso più di vedere quei  bambini che lui amava, i genitori di Renata lo hanno allontanato…povero uomo, adorava davvero quella donna!

-E dei bambini sapete qualcosa?

-Poco, non credo stiano benissimo senza la  mamma e si stanno adattando nella nuova famiglia del padre. Ma sono dei ragazzini, hanno  una vita davanti, ce la faranno.  Verrai al funerale?

-Sì, verrò – risponde sicura Annalisa-  Ora Renata può accogliere il suo amore e mi auguro che, in qualsiasi luogo si trovino, lui e lei potranno riprendere a sorridere .

Figli-polizza

02 giovedì Gen 2014

Posted by ili6 in Articoli, costume e società, io e loro, scuola, Senza categoria

≈ 39 commenti

Tag

figli, genitori, infortuni, lavoro minorile, polizze assicurative, scuola

Mi ricollego a un recente post di Tads, che così chiama quei figli che alcune donne “programmano” per incastrare un uomo con il matrimonio o il vitalizio, per ampliare la sfera dei figli- polizza, che non sono solo frutto delle menti strambe  e distorte di certe  donne, bensì,  spesso e purtroppo, anche di entrambi i genitori e del parentado tutto.

A voler fare un giretto in vari Stati europei e in altri Continenti, avremmo un elenco infinito di bambini buttati nel mondo del lavoro e sfruttati in vario modo e consapevolmente dai genitori, dagli zii, dai nonni al fine di racimolare denaro. Ma vorrei restare in Italia e restare anche in situazioni e ambienti socio culturali quanto più possibili normali. Evito, quindi, di includere le baby prostitute e l’infame e miserevole circuito pedopornografico.  Includo, invece, tra i vari,  i bambini-elemosina, che non sono solo bimbi rom,  i bambini-benzinai e i bambini- posteggiatori. Questi ultimi sono davvero tanti e vanno “al lavoro” accompagnati dai papà che, magari, li sorvegliano a distanza perché si sa che un bambino posteggiatore fa più presa di un adulto in termini di monetine guadagnate… Una o due volte la settimana questi bambini marinano la scuola per raggiungere varie piazze . Nel ciclo scorso ne ho avuti un paio di alunni-posteggiatori (4^-5^ elementare) e impiegai un po’ a capire il perché di quelle assenze sempre di lunedì, giorno di mercato…

-Oh, maestra, devo aiutare mio padre, altrimenti non si mangia!  E alla fine, riconoscendo le difficoltà economiche di certe famiglie, non sai più che dire o che fare e ti arrendi col cuore in tumulto. Perché poi il mercato c’è anche in inverno e col vento gelido…

In tumulto non entra tanto il cuore quanto  la ragione in alcune situazioni di furbizia,  cercate e ben programmate dagli adulti e  che coinvolgono gli inconsapevoli  bambini. Sono situazioni che si verificano, causa crisi,  sempre più spesso, specie nei luoghi di aggregazione coperti da  polizze assicurative e che interessano ormai ogni ceto sociale.

La scuola pubblica, si sa,  è luogo d’eccellenza per l’aggregazione e… per  avviare pratiche di riscossione di polizze assicurative contro gli infortuni!  Denunce, verbali, colloqui, inchieste, sono ormai all’ordine del giorno e anche per le cose più assurde e minime.

Un dente rotto contro lo spigolo di un banco potrebbe significare un’auto nuova!!!

wounded teddies

Foto web

Due mesi fa, dopo un giorno di assenza, Mario (nome di fantasia) si presentò in classe con il piede ingessato. Era accompagnato dai nonni che mi informarono che il bambino aveva  la caviglia rotta e mi chiesero di stendere il verbale dell’incidente. Quale incidente?  Seppi così che  Mario  due giorni prima durante la ricreazione  aveva  ricevuto un calcio da Salvo, un compagno di classe. Un calcio durante la ricreazione? Non ricordavo nulla di particolare accaduto  a scuola. Il nonno parlò di un banale litigio tra i compagnetti  con relativi calci e chiarì che il nipote aveva  avvertito  un dolore crescente  nel pomeriggio e poi  la corsa al pronto soccorso che evidenziò  la lesione alla caviglia. Mi scusai, dispiaciuta, mi impappinai, persi le parole. Perché Mario non mi disse  nulla? E io dove ero? La nonna mi tranquillizzò, disse che io ero in classe che correggevo i quaderni, che il dolore si manifestò dopo, che era un gioco tra bambini, che Salvo non aveva avuto cattive intenzioni e che serviva il verbale per via dell’assicurazione.

-Certo, certo, il verbale, lo redigo subito, ci mancherebbe. All’uscita lo consegno al dirigente.

 Salutai i nonni, mi scusai ancora  e iniziai il mio lavoro. Anzi no, non iniziai nessun lavoro.

Iniziai a fare domande  a Mario, a Salvo e alla classe. Mario evitava di parlare del fatto, gli altri compagni non sapevano  nulla, Salvo era  in evidente imbarazzo. E’ un bambino buono, sereno e non mi pare per nulla uno spezzagambe. Alla fine Salvo cedette e iniziò a piangere:-Maestra, io non volevo fargli del male, è stata una mossa sbagliata e il maestro non mi ha corretto in tempo.

-Quale maestro?

-Il maestro di karate.  L’incidente è stato in palestra, nel pomeriggio.

All’uscita di scuola aspettai la madre di Mario e le dissi che non dovevo  redigere nessun verbale. La signora  diventò in viso di mille colori, disse che era stata un’idea dei suoceri visto che la palestra non aveva ancora rinnovato l’assicurazione contro gli infortuni, che i tempi sono duri e che in fin dei conti non mi costava molto scrivere due parole. Ma se non mi sentivo  di fare alla famiglia quel favore, poteva  comprendere.

A Natale ho ricevuto dai genitori degli alunni una bella composizione di piantine. I genitori di Mario hanno partecipato al delicato dono. Significa che hanno compreso? Me lo auguro. Per loro.

salvagente

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