Durissimo lavorare con un negazionista a fianco in tempo di pandemia.

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I tempi che stiamo vivendo col coronavirus che ha ripreso vigore li conosciamo tutti, la paura e la tensione per molti di noi sono alle stelle, specie per chi come me è costretto ogni giorno a recarsi al lavoro.

La mia scuola l’ho trovata così come l’ho lasciata a marzo: stesso numero di alunni, stessa aula, stessi banchi. Di diverso e in più ora c’è il sapone in bagno, ci sono disinfettanti mani in tutti gli angoli, segnalatori di percorso e di distanziamento e mascherine date dal Governo per gli alunni e per noi insegnanti.

Ci sono anche regole nuove legate al distanziamento e all’igiene e devo dire che non stiamo facendo fatica coi bambini per il rispetto di queste regole: sono attenti, disciplinati più di prima, corretti nell’uso della mascherina. Hanno compreso, sono stati ben preparati dalle famiglie e continuano a esserlo da noi docenti che non ci stanchiamo di ripetere e di mettere in guardia. Persino negli ingressi e nelle uscite, ora differenziati, si crea poco assembramento. Tutto questo fa un po’ sperare di farla franca e di riuscire a mantenere la scuola aperta, evitando così la odiata DAD. Naturalmente non siamo sicuri e tranquilli, il COVID nelle scuole entra da fuori e trova il luogo ideale per diffondersi rapidamente. Diverrà tutto più pericoloso quando partirà il servizio di trasporto alunni coi bus comunali. Ma affrontiamo un problema alla volta.

Il problema adesso è la mia collega di classe che è una negazionista.

Premesso che ognuno può essere libero di pensarla in modo diverso finchè non nuoce gli altri, non sto riuscendo più a sopportare questa situazione perché lei sta agendo a scuola da negazionista.

No! A casa sua può fare ciò che vuole, A SCUOLA NO! Deve rispettare le regole, come tutti.

 Invece …non indossa la mascherina, la porta sempre appesa all’orecchio come fosse un lungo orecchino, forse per paura di multe e rimproveri, mostrando così una certa dose di vigliaccheria. Deride noi colleghi che la indossiamo e, cosa gravissima, inizia a deridere anche gli alunni che mettono la mascherina quando si alzano dal banco per andare alla lavagna o alla cattedra e pretende che gli stessi la tolgano quando stanno spiegando la lezione perché altrimenti la voce è alterata. Inoltre passa tra i banchi per correggere senza nessuna protezione e se i bambini alzano la mascherina, lei gliela abbassa tra il fare scherzoso e l’imperioso.

Li sta confondendo.

Ho cercato di parlarle con le buone, anzi le buonissime, poi con determinazione e l’altro giorno sono stata alquanto dura. Lei lo è stata più di me, ha usato l’ironia e poi il sarcasmo e siamo quasi arrivate alle minacce reciproche.

I bambini a casa raccontano tutto e i genitori mi telefonano ogni due giorni per il suo comportamento. Sono riuscita per due volte a evitare che andassero dalla preside, ora non riesco più a difenderla e sto cominciando a pensare di andare io a parlare con la preside che conosce bene il Coronavirus per averlo preso in primavera e essere stata due mesi ricoverata in ospedale.

Davvero non so che fare. Datemi un consiglio, per favore.

 Detesto chi fa la spia. Sto però iniziando a detestare la mia collega. Il nostro rapporto ventennale è sempre stato sereno, mai amichevole perché lei non è disposta all’amicizia verso nessuno e io di lei ho rispettato anche questo.

Ora sto vacillando.

Lo yacht

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Foto web presa qui

Era una donna bella, elegante, sola e questo determinava una baraonda di curiosità e sentimenti contrastanti. Divorziata da tempo, un figlio che viveva all’estero, uno o più nipotini, aveva ereditato un piccolo appartamento al mare e da tempo era solita trascorrere lì alcune settimane estive. Cordiale con tutti e nel contempo distaccata da tutti, viveva quei giorni in maniera quasi eterea. Si recava al mare al mattino presto, faceva lunghe nuotate e risaliva a casa quando la gente iniziava ad affollare la spiaggia. Proseguiva la sua giornata curando i fiori del terrazzo e ascoltando buona musica. Tornava in spiaggia nel tardo pomeriggio, quando gli altri erano intenti a preparare la cena e la sera preferiva la compagnia dei libri o di un tablet alle riunioni ciarliere e mangerecce che si svolgevano nelle terrazze degli altri appartamenti. Alcuni la invitavano per una partita a carte, per un gelato o una passeggiata, desiderosi di fare un pochino di amicizia con quella donna sofisticata e sola e di sapere qualcosa in più di lei. Rarissimamente lei accettava.

Di lei si conoscevano il nome e l’attività lavorativa, dirigente di una amministrazione non meglio determinata, e nessuno era certo della sua età poiché, qualunque fosse, la portava benissimo. Alcune signore del complesso estivo la ammiravano per l’eleganza, mai appariscente e sempre adeguata, la invidiavano per il corpo statuario, per il portamento fiero, per la singletudine serena che sembrava vivere. Altre signore, forse la maggior parte, la temevano o la commiseravano perché sola:<<Poveretta, manco il figlio viene per stare con lei qualche giorno>>. Alcuni uomini la guardavano con occhi lascivi, si avvicinavano a lei con mille scuse e cercavano di intavolare pietose discussioni culinarie, mettendosi a disposizione per la qualsiasi. Lei, sempre gentile, li faceva fuori in tre minuti al massimo. Altri signori si limitavano a salutare e rispettavano quel suo modo di vivere in riposo e solitudine e non si univano a certi cicalecci carichi di melliflua curiosità: <<Ognuno trascorre le ferie come crede, se ama stare sola non è un problema. Magari figlio e nipoti li incontra durante l’anno e questi giorni ama trascorrerli in pace>>. Qualcuno storceva il muso: << Ma è ancora giovane e senza un uomo! Almeno qui, attorno alla divorziata non se ne vedono da anni>>.

Le donne sole, specie se belle e indipendenti, ma anche gli uomini che scelgono di essere o di ritornare single, vengono spesso considerati “diversi e sbagliati”, destano curiosità perché escono dal canone tradizionale imposto dalla società e attorno a volte si ricamano interi romanzi dai finali inquietanti. Lei sapeva e non se ne curava. Si infastidiva solo quando negli altri si innescava una specie di affanno finalizzato a cercarle un compagno. E si allontanava.

In quel condominio l’affanno cessò la volta in cui uno yacht arrivò improvviso e silenzioso nel tardo pomeriggio e ogni attività sul litorale si bloccò. In quella baia non si erano mai viste imbarcazioni lussuose, solo qualche motoscafo. Bisognava spostarsi tre-quattro baie più avanti per ammirare una imbarcazione come quella che ora tutti, bambini, ragazzi, donne e uomini, stavano guardando in silenzio. Dopo l’iniziale stupore scattò una strana animazione: foto, selfie, video, nuotate lontane quasi a raggiungere il panfilo per farsi notare dai proprietari. Tutti cercavano di capire chi, cosa, come e perché.

Ai due uomini vestiti di bianco che avevano gettato l’àncora si aggiunse un terzo uomo in pantaloncini e maglia scura che dal ponte guardava verso la spiaggia. I due uomini in bianco scesero un canotto e uno di essi lo avvicinò alla riva, restando in attesa.

Di cosa? Di chi? Si chiesero tutti.

Di lei.

Dieci minuti dopo lei scese in spiaggia con andatura lenta, pareva danzasse nel suo completo pantalone blu e ecrù. I capelli ramati erano legati in una coda e un borsone bianco ciondolava elegante dalla sua spalla. Indossava dei grandi occhiali scuri e in mano teneva un cappello di paglia. I bagnanti ora guardavano solo lei, bellissima, lei che si avvicinava alla battigia, lei che faceva un cenno con la mano verso il panfilo, lei che toglieva i sandali e arrotolava i pantaloni, lei che con agilità entrava nel canotto per raggiungere lo yacht. La videro salire la scala dell’imbarcazione e raggiungere l’uomo vestito di scuro. Il silenzio fu assoluto quando i due si abbracciarono sul ponte. A lungo.

Il crepuscolo era ormai avanzato quando le luci del panfilo si accesero rilasciando riflessi dorati sull’acqua. I due uomini in bianco tornarono a riva col canotto, dove non era dato sapere, non interessava. Tutti erano attratti dalle luci riflesse sul mare e dalle sagome della coppia a bordo.

Quella sera alcuni rientrarono a casa molto tardi, altri consumarono la cena di fretta e andarono sul lungomare a prendere il fresco. Lo yacht era sempre lì, con le sue luci accese, la sua storia e i suoi sogni.

La mattina dopo lo yacht non c’era più e anche lei non era nel suo appartamento. Tornò nel condominio due giorni dopo e preparò le valigie. Prima di chiudere la casa salutò cordialmente le signore del complesso. Tutte si accorsero che aveva una abbronzatura ancora più bella e ognuna a suo modo fu contenta che lei fosse rientrata in quella che i più consideravano “quasi normalità”.

<< Voglio tornare single!>> esclamò dopo un po’ la signora più simpatica del complesso mentre ritirava una montagna di biancheria dallo stendino. Poi sorrise al compagno di sempre.

DAD, ovvero Desolante Affannosa Didattica (a distanza)

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<<Mammaaa, non sento e non vedo più niente!>>

<<Maestra, sta cadendo la linea…sto finendo i giga…la batteria è scarica…>> 

<<C’è l’eco, lo sentite l’eco? Non si capisce niente!!!>>

<<Sei tu che provochi l’eco, prova a uscire di nuovo dalla piattaforma e a rientrare>>.

<<Chiudete i microfoni….aprite i microfoni…basta faccini e cuoricini nella chat, non mangiate il gelato durante la videolezione!>>

<<Bambini, condivido con voi uno schema che ho creato Aspettate, come si fa? Ecco, riuscite a vederlo?>> (sudore della maestra) <<Sì, no, dov’è? Si vede piccolo>>.

<<Giovanni, ripeti la poesia.>> Bung, crash, spatt :<<Che è successo, Giovanni? Stiamo vedendo il lampadario della tua cucina, Giooo, dove seiii???>>

<<Ops, è caduto il telefonino…>>

<<Mamma, papà, smettetela! Il microfono è aperto, tutti stanno sentendo le vostre parolacce!>>

<<Signora non suggerisca, può allontanarsi per cortesia?>> dico con voce calma << Penso io a aiutare Sofia>>. La signora:<< Ma guarda che a casa mia non posso stare dove voglio! Ok, ok, ho capito, me ne vado!>> Si alza, si dirige nell’altra stanza e…BANG! (porta che sbatte).

Continuo?  La Didattica A Distanza è stata anche questa.

Maestre, alunni, genitori, presidi…siamo STRAFELICI CHE SIA FINITA e Dio non voglia di dover riprendere a settembre con questo modo bislacco di fare scuola. Una baraonda impressionante, un incubo spiazzante che ha trovato tutti impreparati. Se noi insegnanti in poco ci siamo attrezzati e orientati nelle piattaforme così non è stato per una buona fetta di utenza che si è trovata con connessioni debolissime e inefficaci, con giga insufficienti, con dispositivi faticosissimi da usare. La maggior parte dei bambini si è collegata coi cellulari perché le famiglie non possedevano altro. Scrivere con la tastierina, collegarsi in contemporanea nei siti dei libri on line, stampare, perdere la linea e sparire dalla piattaforma quando sul telefonino della mamma arrivava un qualsiasi messaggino, mantenere fermo e dritto il cellulare mentre stavi scrivendo sul quaderno…una impresa faticosissima che piccoli e grandi abbiamo cercato di affrontare con pazienza e al meglio pur di dare un minimo di dignità a questa seconda parte dell’anno scolastico.

Ci sono stati momenti belli, anche spassosi, momenti teneri, videolezioni meglio riuscite, altre difficili e stancanti, ci sono stati attimi di scoraggiamento o di rassegnazione specie per quei bambini, pochi ma ci sono stati, impossibilitati a inserirsi nelle piattaforme e coi quali si è cercato di mantenere un minimo e insoddisfacente contatto con whattsapp. E tanto altro.

La DAD potrebbe essere nel prossimo futuro una buona opportunità per affiancare e potenziare l’apprendimento tradizionale. Per una efficace ricaduta sull’apprendimento sarà obbligo creare vari presupposti: età degli studenti (non inferiori ai 12 anni), adeguatezza dei dispositivi, preparazione tecnologica, esperienza, piano organizzativo e programmatico innovativo e creativo. Invero ci siamo dovuti catapultare e adattare a questa nuova situazione e i piccoli in questo sono stati fantastici perché ogni adattamento richiede tempo e loro di tempo non ne hanno avuto: il 10 Marzo erano già in videolezione e la loro maestra si scervellava per proporre una didattica diversa e accattivante che li motivasse, che non li stancasse troppo, producendo nel contempo dei risultati. In merito ai risultati non voglio pronunciarmi, preferisco aspettare settembre per capire, nella speranza di poter rivedere gli alunni in aula, quella vera. La presenza troppo costante (e necessaria, vista l’età degli alunni) dei genitori è al momento inevitabilmente fuorviante.

Doppi e tripli turni, plexiglass, tute spaziali, caschi e visiere, bolle di Amuchina spesse due metri: tutto SARA’ ACCETTATO pur di poter tornare in aula e non ripetere l’esperienza DAD.

Il Coronavirus, dopo il salto di specie e la conoscenza dell’essere umano, deciderà da sé che stava meglio dove si trovava prima e si toglierà di mezzo per la pace e gli abbracci di tutti? L’augurio è di vero cuore.

Come state, amici di blog?

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Come state? Spero bene. 

Pur avendo più tempo per scrivere e per leggere, anche qui nella blogsfera, non riesco a concentrarmi, a staccarmi dai pensieri, a evadere col la mente, a spaziare. Sono smarrita.

Ma vi ho pensati più volte e sarei felice di avere vostre buone notizie.

Qui in Sicilia i casi sono in aumento e al momento la situazione sanitaria dell’Isola sta reggendo. Quest’ultima per noi del Sud è una ulteriore preoccupazione nella preoccupazione.

Sono anche io chiusa in casa dal 6 marzo. Sto fondendo con le lezioni on line, mi arrabbio, litigo con la piattaforma, con la connessione, coi libri di testo in rete, con tutto, ma ho alunni e genitori eccezionali e spero di essere all’altezza di questa specie di scuola  a distanza che ci ha colti tutti di sorpresa. Grazie alle videolezioni rido e mi commuovo coi miei bambini, li ascolto, racconto, leggo per loro, faccio brevi lezioni, persino giochiamo e ascoltiamo musica insieme. Tutto questo mi serve anche a distrarmi dalla preoccupazione principale del momento e dalla reclusione che stiamo vivendo e che pesa sempre più. Ma è necessaria.

Vi abbraccio tutti.  ❤  Ce la faremo!

Grazie, Roma!

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Roma – Piazza Di Spagna (foto web)

Un grande doveroso omaggio a Roma, splendida stupefacente Città Caput Mundi, per l’efficienza mostrata nella risoluzione dei casi di Coronavirus all’INMI Spallanzani. Sono guariti tutti i ricoverati dal 29 gennaio, la coppia di turisti Cinesi e il giovane ricercatore Emiliano proveniente dalla Cina. Niccolò, bloccato per due volte a Wuhan, sta bene e sta per terminare il periodo di isolamento. Sono tutti guariti e, aspetto assolutamente non indifferente, non ci sono stati contagi ulteriori né nel Pronto soccorso né in altre realtà della Città e della Regione Lazio.

Sono ottime notizie per le persone che sono state infettate dal Coronavirus, per tutto il personale dell’Ospedale Spallanzani e per la Città di Roma. Una Città che negli ultimi decenni è stata maltrattata, offesa, denigrata a torto o a ragione e che ora ha saputo gestire una delicatissima situazione da pioniera, affrontando percorsi non facili con attenzione, serietà e professionalità.

Una lode e un grazie a tutta Roma e al suo Ospedale per essere riusciti nell’intento senza errori o sbavature, senza troppi riflettori puntati, senza trionfalismi, senza sconvolgere la vita dei suoi abitanti.

Grande, mia Capitale!

L’augurio adesso è che anche Palermo, mio bellissimo e sofferente capoluogo di Regione, riesca a essere efficiente come Roma. E lo sarà.

Ce la faranno anche le Città del Nord Italia a uscire dal tunnel del Coronavirus e a far tornare la nostra Penisola nello splendore di sempre.

 

Arriva Babbo Natale, wiii!

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In questi giorni mi sento una maestra vecchia e antiquata. Sensazione parecchio bruttina. La colpa è del buon Babbo Natale, sì proprio dell’amato Santa Claus che, si dice, porti i regali ai bambini.

Complice una lettura natalizia con la fatidica domandina: “Cosa desideri che Babbo Natale ti porti a Natale?”, invito i miei alunni a esprimersi con sincerità. Già prevedo le risposte: palloni, magliette dei calciatori, automobiline per i maschietti, bambole, borsette, trucchi per le femminucce. Spero che qualcuno dica un libro,  un CD di buona musica o un bel gioco da tavolo per trascorrere sane ore in famiglia. Sicuramente mi lancerò a disquisire sui regali inutili, sui giochi intelligenti, sulle troppe spese da evitare, ecc…

Inizio coi maschietti e vengo subito messa al tappeto: SWITCH! Nessuna esitazione, quindici bambini su venti desiderano lo Switch. Il punto è che io non so che sia uno Switch:<<Volete una strega? Una witch? O forse volevate dire Swatch, un bell’orologio swatch?>>. Loro ridono: <<Ma no, maestra, uno S.w.i.t.c.h. e poi, se proprio orologio dovrà essere, allora uno watch phone o semmai xaiomi!>>. Ops…: <<Uno xiaiomi, eh, certo, certo…>>, rispondo quasi sottovoce. Loro intanto iniziano a discutere di prezzi, 60, 350 Euro non so per cosa, 700 e passa per altro (sono ammattiti?) e nel frattempo in un pezzetto di carta annoto di nascosto: “Cercare urgentemente su Google xaiomi, watch, switch”.  I bambini leggono nella mia faccia la confusione e mi spiegano del Nintendo e dell’orologio computer.

Perbacco!!!

Preferisco stare in silenzio e passo alle bambine. Anche qui il coro è quasi unanime, per me però più raggiungibile: tablet e telefonino perché non ne possono più di quello vecchio del fratello maggiore, di mammà o dello zio. E mi par giusto: hanno già 8 anni compiuti, eh! Quando una bimba dice che vorrebbe Cicciobello mi si apre il cuore! Poi aggiunge che vuole “Cicciobello Lacrime vere” e mi viene un po’ di magone. Due alunne vorrebbero i Lego. Ahhh sììì, maestra felice! Inizio a dire di quanto mi piaceva costruire coi mattoncini Lego e con le costruzioni di legno e loro mi interrompono subito: <<Noi desideriamo i Lego ps4 tipo Worlds o Ratchet>>.

 Oh!

Le bambine discutono coi compagni di nomi astrusi tipo Wolfenstein, Sniper Elite, Minecraft   sigle, prezzi, combattimenti, grafica, platform 3, 4, 15 D. Non li seguo più, sono persa! Ma dico…, in questi primi mesi di scuola ho già svolto tre corsi di aggiornamento, online e non, sul curriculo didattico, sulle competenze, sulla valutazione. Che ce ne fosse stato uno di aggiornamento sui giocattoli-videogiochi dell’era 2.0!!! Avrei evitato la messa all’angolo! Perché è così che mi sento: all’angolo.

Li lascio parlare tra loro. Già li immagino durante le vacanze natalizie chiusi nelle loro stanzette a farsi ubriacare di luci e suoni violenti, di immagini velocissime, di situazioni competitive e aggressive. Li immagino mentre chiedono di non essere disturbati, presi come saranno a lottare e a tentare di accumulare punteggi. Li immagino a dire no alle semplici proposte dei genitori di uscire, di andare a trovare un parente, di fare una passeggiata. Chiusi in casa, forse con un compagno, a rincitrullire davanti a uno schermo di megapixel.

Così torno a Cicciobello, che va benissimo anche con le lacrime vere o finte e inizio ad apprezzare la risposta di un bimbo che dice che da Babbo Natale vorrebbe tutte le figurine dei calciatori che mancano nel suo album. Chissà quanto gli sta costando tentare di completare quell’album ma sicuramente meglio che stare a sconvolgersi e a caricarsi di violenza e aggressività davanti a uno schermo in solitudine.

Caro Babbo Natale, sii giudizioso nei regali sotto l’albero. Tappati le orecchie, non ascoltarli, nessuno ti rimprovererà perché si sa che sei vecchietto e magari un po’ sordo. Quindi metti nel sacco qualcosa di bello e di buono, di calmo e di sereno, di gioioso e comunitario. Vuoi qualche consiglio, vero? Non so. Sono confusa quanto te. Un viaggio? Un cagnolino? Un corso di pittura? Di nuoto? di sci? Un biglietto per un concerto?

Un dolcetto, un lavoro per le famiglie, degli affetti veri e tanta salute direi che possono bastare e avanzare. Per loro e per tutti noi.

BUON NATALE

 

Signori uomini, suvvia, non abbiate paura di essere un pizzico romantici!

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Jack Vettriano –  Back where you belong

 

“Se inizierò a parlare di amore e stelle, vi prego: abbattetemi”

CHARLES BUKOWSKI

“Per qualche uomo, non si creda così raro, verrebbe quasi da dire: abbattetelo pure!”

MARIRO’

È risaputo che gli uomini siano poco inclini al romanticismo, cioè a quei piccoli gesti spontanei e sorprendenti capaci di dare colore a un rapporto di coppia, questo diventa sempre più vicino allo zero quanto più il rapporto si protragga nel tempo. Mia nonna avrebbe detto: «Gli uomini posseggono una vena romantica stitica che spesso fa venire il mal di pancia». Sempre mia nonna: «Contano i fatti e gli equilibri, non le parole». Oggi, nell’era 2.0, pare che gli uomini (ma anche le donne) abbiano dimenticato il termine romanticismo, relegandolo semmai nelle prime fasi del corteggiamento per poi farne un uso sporadico, ritenendolo inutile e banale smanceria/perdita di tempo nonché ipotetico indicatore di debolezza. I maschi per “costituzione”, le femmine per “emulazione”.

Succede così che, in una giornata particolarmente calda, una donna si senta dire dal suo uomo: «Ah, senti, mangia questo cioccolatino prima che mi si squagli in tasca». Il cioccolatino è quello che nei bar viene servito gratuitamente col caffè e non è bello lasciarlo lì, anche perché di solito è di qualità. Ora, non che la donna ami sentirsi dire frasi del tipo: «Mia adorata, ti ho pensata mentre sorseggiavo il caffè del mattino e ho rinunciato a questo per te!» Uno scoppio di risate non basterebbe a giustificare la comicità del momento. Magari sarebbe adeguata la classica frase: «Cara, vuoi un cioccolatino?» Domanda semplice e un po’ anonima, adeguata alla circostanza, non compromettente per chi teme di svelare qualche sentimentalismo, però chiamiamola gentilezza da opportunismo. Invece: «Ah, senti, mangia questo cioccolatino prima che mi si squagli in tasca». Che galanteria! Ma… scusa: «Chi è senti?» Una donna, un uomo? Avrà pure un nome di battesimo, eh…! «Mangia questo cioccolatino», per caso è un ordine? «Prima che mi si squagli in tasca». Roba da sentirsi un cestino dei rifiuti! Inutile girarci attorno: le parole… le parole… pietre o fiori!

Perché gli uomini hanno timore di esprimere i propri sentimenti? Perchè hanno paura di un pizzico di romanticismo, dato o ricevuto? Non quello “oppiaceo” di Marx ma di quel pizzico che ogni tanto nasce con spontaneità e sincerità, in allegria e spensieratezza. Quel “tanticchia”, direbbe sempre mia nonna, che può contribuire a dare un po’ di colore a un momento della giornata e che, soprattutto, diventa indice di sano equilibrio tra la parte razionale logica e quella illogica sentimentale, connaturata in ciascun essere. Il quotidiano dovuto non esclude le emozioni, tende semmai a eliminare quelle negative. Sentimentalismi e romanticismi non sono in collisione con la ragione ma germogliano da essa; la ragione crea i valori e in essi lascia libera azione ai sentimenti liberandoli da ogni catena. I nostri maschi invece, spesso tendono a considerare sentimento e romanticismo una sorta di vulnerabilità, non sanno rilassarsi in quanto sempre protesi a mantenere il ruolo di imperturbabili duri, ligi alla società della clava, atavica e selvaggia. Le donne, oggi più che mai, non cercano smancerie e banalità e non si lasciano facilmente incantare da galanterie, rose rosse e ammennicoli vari. Continuano a saper apprezzare le giuste parole, i piccoli, sporadici e sinceri moti romantici che, credo, siano capaci di valorizzare anche i signori uomini perché, se equilibrati, contribuiscono a un miglioramento della nostra esistenza. E tutti noi, maschi e femmine, siamo sempre alla ricerca di un miglioramento della nostra vita.

Sì, cara nonna, nella vita contano razionalità, gesti e concretezze, tu hai ragione, ma conta anche la banalità di un cioccolatino poichè, anche questo tu lo sai, dietro un piccolo dono, del suo quanto, del suo come e del suo perchè, ci sta un universo intero. La banalità del bene è pur sempre una gran bella emozione.

 

Alessandra Bianchi – “Danzerò per te.”

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Danzerò per te” ,di Alessandra Bianchi

E’ una notte limpida e le stelle brillano nel cielo di questa strana primavera. Sembrano lontane, remote in universi sconosciuti, ma in realtà sono molto vicine perché, semplicemente allungando una mano, io ne prenderò quattro e formerò una ghirlanda per fartene dono. Senti il vento soffiare? Gli affiderò le mie parole, e questa notte verrà da te a sussurrartele mentre dormirai; il vento ha grandi poteri: entrerà nei tuoi sogni rendendoli felici.
E domani… domani splenderà il sole, e io gli chiederò di scaldare il tuo cuore. Consegnerò il mio messaggio alle rondini e alle delicate farfalle; ti consegneranno il mio invito. Se lo vorrai la tua vita sarà illuminata dal mio sorriso; ti condurrò lontano, oltre le miserie quotidiane, al di là dei rimpianti e dei rimorsi, dei sensi di colpa e delle passioni bugiarde. Verrai con me nei boschi, e camminerai al mio fianco, mentre tutte le creature magiche da me convocate sorveglieranno il sentiero, rendendolo sicuro, abbattendo ogni forma di male, scacciando insidie e tradimenti. Verrai con me al mare e le onde ti lambiranno i piedi sulla spiaggia; giungeranno i delfini per farti giocare, riderai con l’innocenza di una bimba e loro ti porteranno oltre la barriera corallina ad osservare pesci meravigliosi, e gabbiani, e cieli sterminati, e fondali dai colori stupefacenti.
Verrai con me sulle colline a guardare il tramonto. Scriverò poesie che solo tu conoscerai, e canterò canzoni che soltanto tu potrai capire. Ti racconterò i miei segreti e ascolterò i tuoi, e resteremo abbracciate incuranti del mondo, delle bassezze e delle meschinità, dell’invidia e del rancore. Parleremo per tutta la notte, e al nuovo sorgere del sole ti addormenterai su un prato che io avrò trasformato in un cuscino di fiori. Veglierò su di te, e al tuo risveglio mi troverai vicina. Ti accarezzerò il volto, mangeremo il pane degli elfi e berremo l’acqua delle sorgenti. Per te imparerò a suonare; e se all’inizio la mia mano si dimostrerà incerta, evocherò tutti i poteri della natura e alla mia musica si uniranno il suono dello scirocco, lo stormire delle fronde, il canto dell’usignolo, il rumore della risacca, l’armonia di una cascata, che la trasformeranno nella melodia più bella che tu abbia mai sentito. Danzerò per te e, quando gli accordi lentamente svaniranno nel silenzio dei campi rilucenti, ti prenderò per mano e riprenderemo il nostro cammino.
Raggiungeremo la mia casa. L’avrò colmata di candele profumate; ovunque vedrai candidi gigli e verdi piante. Le finestre saranno spalancate sullo stupore del nostro amore. Non ci saranno più treni e fredde stazioni, né tristi addii, perché io fermerò il tempo: i giorni diventeranno infiniti, e ogni notte si rivestirà di magia. Dimenticherai le ombre e conoscerai l’incanto dell’aurora.
Ma se tu non mi vorrai, allora ti guarderò da lontano. Non sarò invadente e saprò rendermi invisibile. Gioirò per ogni tuo sorriso, applaudirò i tuoi successi, condividerò la tua felicità per un altro incontro.
Però, forse, in un giorno di pioggia, rammenterai i miei occhi e per un momento, un unico breve momento, ti ricorderai del mio amore.

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Due anni di tua assenza. Ci manchi.

Di Fuochi, Scienza, guaritori e… sputi!

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Sono molte le decisioni che un individuo prende nel corso della vita dopo essersi posto le fatidiche domande: “Sarà vero? Funzionerà? Posso fidarmi?” Le risposte sono influenzate dal nostro cervello, in particolare dalla corteccia cingolata che alcuni scienziati ritengono sia responsabile, tra l’altro, del nostro scetticismo e del sentimento di vigilanza. Pare che questa cingolata funzioni in maniera diversa negli individui e diventi meno attiva in alcuni quando si ritrovano davanti a persone carismatiche, a presunti profeti e guaritori. Si spiegherebbe quindi, sempre secondo i ricercatori, perché alcuni personaggi riescano a esercitare un’influenza spiccata su certe persone mentre su altri questo non avvenga. Pertanto molti “poteri” di santoni e guaritori dipenderebbero non dal “dono” ricevuto ma dalla loro capacità persuasiva e dalla corteccia cingolata del malcapitato che disattiva alcune sue aree, riconoscendo all’altro autorità, credibilità e forza. Non sempre cultura esperienza maturità, riescono a tenere attiva la corteccia, un ruolo maggiore giocano a volte le suggestioni, l’affanno, la disperazione.

Ci si avvicina così all’irreale, alla metafisica, all’esoterico, a quell’immenso settore che prescinde i dati dell’esperienza diretta e della conoscenza scientifica, trincerandosi nell’astratto e nell’astruso. Sono molti i campi di facile influenza e sicuramente uno di questi è la salute. Davanti a un problema di salute che non si risolve l’essere umano tende a provare di tutto. La perplessità nasce quando una moltitudine di persone decide di affidarsi a “illuminati” per problemi certamente risolvibili con la scienza medica. In alcuni casi a influenzare il malcapitato non è il guaritore, a volte persona semplice e umile, bensì “la gente”, la credenza popolare, il “si dice e si afferma fortissimamente”, fino a stordire.

Questo succede per il diffuso Fuoco di S. Antonio, scientificamente Herpes Zoster, che altro non è che il virus della varicella contratta in tenera età che poi se ne sta buono buono nei nostri gangli nervosi. Può, però, risvegliarsi per varie cause e farci vedere i sorci verdi. Malattia debilitante, snervante, molto dolorosa, dura una ventina di giorni, guarisce bene se riconosciuta e presa in tempo con i dovuti trattamenti farmacologici, altrimenti potrà provocare la terribile nevralgia posterpetica, difficile da curare anche per la scienza. La tempestività delle cure mediche è essenziale per far sì che il nervo colpito guarisca perfettamente e senza strascichi dolorosissimi a vita. Questo è confermato dalla scienza ed è risaputo da tutti; nonostante ciò molti, da Nord a Sud, non vanno dal medico, non si vaccinano e vanno dal “guaritore” a farsi prendere a SPUTI per nove giorni!!! Per la mia corteccia cingolata è incomprensibile.

Beccai l’Herpes Zoster una quindicina di anni fa dopo una lunga e forte cura antibiotica: crollo delle difese immunitarie e Fuoco di S. Antonio al costato. Non sapevo nulla del Fuoco di S. Antonio e fu difficile capirlo perché si presentò senza vescicole, solo con un dolore lancinante e tremendo che trapassava un lato del torace fino al polmone. Preoccupata, corsi dal medico. Ricordo che prescrisse per prima cosa una ecografia alla cistifellea, pensando a dei calcoli, a seguire avrei dovuto fare una gastroscopia e una radiografia polmonare. Paura al cubo! L’ecografia escluse i calcoli e l’indomani tornai dal medico per la prescrizione degli altri esami. Forse stimolata dall’ecografo, durante la notte spuntò l’eruzione cutanea che feci vedere alla dottoressa per calmare il prurito. Lei diagnosticò subito l’Herpes Zoster, mi spiegò tutto, impose la cura e raccomandò di non cercare “altre strade”. Ignara, compresi quando ne parlai con colleghi e amici. In 24h mi ritrovai un elenco di decine di “guaritori”: vicini di casa, bidelli, parenti di…, tutti bravissimi a farmi guarire presto, tutti eccellenti, miracolati e miracolosi! Si scatenò un putiferio di consigli: “vai da questo, lascia perdere i medici, guarirai prima, …”. Confusione scetticismo incredulità. Piangere o ridere?

 Ero già in cura medica da alcuni giorni e fu quando una collega mi disse di andare da una certa Marietta che delicatamente fa “put put” e non “SPUT! SPUT!”, che schiattai:<<Ma come fai a dire queste cose tu che sei un’educatrice e hai un marito che sa di legge? Mi consigli di curarmi con le sputazzate, l’acqua e l’olio!?! Ti si è offuscato il cervello?!?>> La collega si offese, disse che gli “sputi santi” erano necessari per scacciare il maligno che in quel momento era in me e dovevo crederci e fidarmi. Non avrebbe avuto senso discutere oltre, in fondo ognuno è artefice della propria corteccia cingolata e dei propri guai. Completai la cura medica, guarii bene e in fretta, mai più avuti recidive o dolori.

Leggevo sere fa che in Svizzera, e non solo, i «guaritori che praticano il segreto», cioè le formule che hanno ricevuto in dono (da chi?), ora agiscono anche via telefono, sms e whatsapp. E gli sputi e l’olio? Laveranno la cornetta e i display dei telefoni? Beh, questa sì che potrebbe chiamarsi evoluzione tecnologica! O facciamo prima e meglio a chiamarla effetto placebo, superstizione e ciarlataneria? La mia collega risponderebbe: <<L’importante è che funzioni!>>

 

 

La Controra

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Jean-François Millet – Pausa di mezzogiorno, 1866 – Museum of Fine Arts, Boston

La Controra è uno spazio temporale delle giornate ben definito, sacro e intoccabile, specie al Meridione. Le “contra horas” vanno dalle 14.00 alle 16.00 e tutto si ferma. A Luglio e Agosto in questo lasso di tempo non si muove foglia, nessuno per strada, persone, cani o gatti, pochissime automobili in giro. I rumori sono al minimo; litigate afone, tv a basso volume, niente giochi a pallone o con le bici. Le ore caldissime della giornata creano una volontaria interruzione del fluire del tempo nell’attesa che la calura si attenui e che la quotidianità possa riprendere. Questo succede nelle campagne e nelle case di città e, vuoi per abitudine o per pura piacevolezza, di solito si espande anche nelle stagioni meno calde, divenendo sana consuetudine. Sana? Sì, sana poiché, a differenza dei luoghi comuni, le ore-contro sono molto positive; in tanti le dedicano al sonnellino ristoratore che permetterà di arrivare attivi fino a tarda sera. Al Sud la sera è sera-notte, si lavora sino a tardi, si sta fuori, si fa shopping, si cena, si passeggia ben oltre la mezzanotte. Le due ore di fermo pomeridiano vengono quindi ampiamente recuperate.

La Controra non sempre è destinata al sonnellino, tutt’altro. Chiusi gli scuri dei balconi per difendersi dal sole, diventa il tempo per la casa e la famiglia, per il dialogo, per la lettura, per la scrittura, per i giochi on line, per un film, per i propri pensieri, per la creatività, per fare l’amore. Diventa anche il tempo per qualcosa di più nascosto, nella consapevolezza che in quelle ore nessuno ti scoprirà facilmente. Io, ad esempio, ho imparato a guidare grazie alla Controra, e avevo appena 15 anni. Mia madre la sera obbligava la ritirata alle 20.00, ma se alle 14.30 mi riunivo nell’ampio androne a pianoterra con amiche e cugine per chiacchierare o ascoltare la radio sommessamente, lei acconsentiva e sonnecchiava davanti alla tv. Prendere le chiavi dell’auto e guidarla, spingendola prima a mano perché non sentisse il rumore del motore e poi fare giri sempre più ampi nel quartiere, fu il nostro segreto e amato gioco della controra: bellissimo! Quando lei se ne accorse chiamò i Carabinieri che organizzarono dietro l’angolo di casa un blocco per noi ragazze (alle 15.00 del pomeriggio!) e in sei finimmo in Caserma. Ma questa forse l’ho raccontata già in un vecchio post e ho detto anche che con me c’erano la figlia del maresciallo e quella dell’appuntato. Che ramanzina della Madonna che prendemmo!!!

Ora sono sul terrazzo, proprio nella controra, all’ombra del glicine e mi sto riposando con i ricordi. Qui soffia una leggera brezza di mare, dentro fa troppo caldo. Sto osservando l’ampio spiazzo interno del complesso e le case che si affacciano su di esso: porte tutte chiuse, nessuno in giro, silenzio. Normale. Tra un’ora si inizierà a sentire l’aroma del caffè e il tintinnio dei cucchiaini nelle tazzine, alcuni bimbi riprenderanno a giocare con la palla e comincerà la processione ciarliera di gente che scenderà in spiaggia.

Gli appartamenti dentro la mia visuale sono tutti occupati, tutti meno uno, quello del signor Gianni che per ferragosto va in crociera: beato lui. Quasi mi addormento quando noto un uomo che cammina piano e tiene in mano qualcosa, forse un fazzolettino di carta che non disdegna di buttare nel terrazzino del signor Gianni. Si ferma, attende all’ombra, ma lei non lo raggiungerà perché oggi ha ospiti. Una storia che tutto il complesso conosce…vabbè, stavolta ai due va buca. Due minuti dopo una signora toscana che ha affittato l’appartamento proprio sopra a quello del signor Gianni, si affaccia dal balcone e pulisce la tovaglia del pranzo sul terrazzino disabitato, rientra e poi torna con la paletta della pattumiera e lascia cadere giù la ghiaietta della spiaggia. Il rumore dei sassolini infrange il silenzio della controra. Eh, signor Gianni, i topi ballano quando il gatto va in vacanza, si sa.

Protetta dal glicine, vedo e non vengo vista. Noto movimenti in due appartamenti distanti e dopo un po’ una coppietta di ragazzini, con giri guardinghi e vari cenni, si incammina verso angoli più isolati del complesso. Sorrido: non tutti pensano a imparare a guidare l’auto durante la controra… Oh, vedo Mariella. La moglie sempre ingioiellata dell’ingegnere esce dal cancelletto del suo terrazzo con la scopa in mano. Di certo non vorrà spazzare il vialetto a quest’ora. Quindi? Fa alcuni passi e guarda a destra, a sinistra, in alto, la scopa sempre in mano. Si avvicina cauta al cancelletto del signor Gianni e, dopo aver guardato ancora in giro, prende la scopa e la pulisce energicamente dai pelucchi proprio sul cancello del crocerista. Mariella!!!

Quanta vita nella controra! Che faccio? Un pisolino? Inizio un nuovo libro? Scrivo un post? Intanto ho già voglia di caffè.