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Marirò

~ "L'esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque"

Marirò

Archivi della categoria: I miei racconti

Parlami di Lei

22 giovedì Ott 2020

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Senza categoria

≈ 44 commenti

Tag

confidarsi con gli sconosciuti, e-mail, I miei racconti, mondo digitale, scrittura catartica, sfoghi, tradimento

A Elena piaceva il sito web della sua azienda. A volte la sera entrava per aggiornarsi, per comunicare nella chat o nelle mail coi colleghi, specie con quelli delle filiali estere e certe volte anche col marito, dipendente della stessa ditta, quando era in trasferta. Il sito era ben impostato e con funzionalità che Elena scopriva di volta in volta. Il gruppo web della sua filiale era costituito da una cinquantina di persone e questo permetteva di conoscersi tutti meglio, durante le giornate lavorative si potevano incontrare pochi colleghi e sempre frettolosi.

Nelle ultime settimane Elena aveva avuto delle lunghe conversazioni, via chat e mail, con Guenda, la dolce ragioniera del terzo piano. La sua mamma si stava spegnendo e Elena aveva cercato di aiutarla raccontando l’esperienza vissuta anni prima in famiglia. Guenda era molto triste e un sabato sera Elena le inviò una mail:

-Parlami di Lei, se ti va.

La mail per errore fu inviata a tutti i componenti del gruppo. Elena si rese conto dello sbaglio quando già era a letto e decise che l’indomani avrebbe inviato le scuse al gruppo.

Quando la mattina seguente accese il computer notò che era già tardi: aveva ricevuto nella notte una decina di mail di risposta. C’era quella di Guenda con un ritratto tenero e commovente della madre. C’erano alcune risposte di colleghi che chiedevano una spiegazione, chi con un semplice punto interrogativo, chi con frasi del tipo :-Dici a me?

Trovò divertentissima la mail del direttore Osvaldo sulla sua cagnolina. Descriveva una “Lei” impertinente, testarda e deliziosa che ne combinava una al giorno. La “Lei” dell’avvocato era Belen; ne era follemente innamorato e ossessionato. Raccontava dei sogni masturbatori che faceva, delle migliaia di foto che ritagliava dai giornali e di tante altre stupidate. Diversa la posta di Anna, sua collega vicina di stanza, con un lungo e sincero sfogo sulla figlia quindicenne inquieta e ribelle che stava mettendo in crisi tutta la famiglia. La “Lei” di Piero era la fidanzata, una tipa Alfa che gli stava scombussolando la vita. Elena si sorprese nel leggere situazioni alquanto crude e, pensando al piglio dirigenziale di Piero, mai avrebbe immaginato che si lasciasse dominare da una donna in modo tanto forte e distruttivo.

Confusa, spense il computer senza sapere bene cosa fare. Ignorare la posta ricevuta? Limitarsi a spiegare l’errore commesso? Rispondere? Anna, Guenda, Piero avevano scritto storie personali, intime, segrete. Le avevano scritte a lei e magari attendevano una risposta, un consiglio, un parere, un qualcosa. Ne sarebbe stata capace? Turbata, decise di non dire nulla al marito e di riflettere meglio.

La sera riaccese il computer con la speranza che la storia fosse già finita. Invece trovò ancora risposte, parecchie scherzose, altre molto serie e strettamente confidenziali. La “Lei” era la dipendenza da cannabis, la suocera megera e cattiva, la moglie ormai insopportabile. Tutte le mail erano ricche di considerazioni e particolari. Erano veri e propri sfoghi, tormenti che da tempo aspettavano di uscir fuori e che avevano trovato nella scrittura una forma di catarsi e in lei, una semisconosciuta,  la destinataria di fiducia. Da un lato si sentì onorata, dall’altro completamente spiazzata. Con loro aveva solo rapporti di lavoro o poco più. Cosa avrebbe dovuto fare? Come si sarebbe presentata in ufficio l’indomani? Non poteva affrontare da sola la situazione, doveva parlarne con suo marito, spiegargli l’accaduto e farsi consigliare. Lui era saggio, conosceva i colleghi meglio di lei e da molto tempo. Sì, ne avrebbe parlato con Andrea non appena fosse rientrato.

Ma dov’era Andrea? Presa dai pensieri delle mail quasi non ricordava nulla di quella domenica non ancora trascorsa. A che ora era uscito? Per andare dove?

Fu mentre cercava il cellulare per chiamarlo che sentì un beep di ricezione posta. Era la mail di Viviana, la bella del piano alto.

“Ciao Elena, vuoi che ti parli di Lei?

Si chiama Elena ed è la moglie di Andrea, il mio amore da due anni. Adesso lui sta tornando a casa da Lei. Vuoi che continui questa mail? Fammi sapere.

Viviana “

Elena rimase immobile per un tempo indefinito. Non sentì Andrea entrare in casa e non capì cosa le stesse dicendo. Notò solo che lui teneva in mano un sacchetto di frutta e un vasetto di menta. Si alzò lentamente e indicò al marito lo schermo del pc. Poi guardò il vasetto e la frutta e disse:-<<Portali a lei e non tornare più>>.

Lo yacht

23 domenica Ago 2020

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Senza categoria

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Tag

cicalecci, costume e società, donne sole, estate, I miei racconti, libertà, racconti d'estate, singletudine, yacht

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Foto web presa qui

Era una donna bella, elegante, sola e questo determinava una baraonda di curiosità e sentimenti contrastanti. Divorziata da tempo, un figlio che viveva all’estero, uno o più nipotini, aveva ereditato un piccolo appartamento al mare e da tempo era solita trascorrere lì alcune settimane estive. Cordiale con tutti e nel contempo distaccata da tutti, viveva quei giorni in maniera quasi eterea. Si recava al mare al mattino presto, faceva lunghe nuotate e risaliva a casa quando la gente iniziava ad affollare la spiaggia. Proseguiva la sua giornata curando i fiori del terrazzo e ascoltando buona musica. Tornava in spiaggia nel tardo pomeriggio, quando gli altri erano intenti a preparare la cena e la sera preferiva la compagnia dei libri o di un tablet alle riunioni ciarliere e mangerecce che si svolgevano nelle terrazze degli altri appartamenti. Alcuni la invitavano per una partita a carte, per un gelato o una passeggiata, desiderosi di fare un pochino di amicizia con quella donna sofisticata e sola e di sapere qualcosa in più di lei. Rarissimamente lei accettava.

Di lei si conoscevano il nome e l’attività lavorativa, dirigente di una amministrazione non meglio determinata, e nessuno era certo della sua età poiché, qualunque fosse, la portava benissimo. Alcune signore del complesso estivo la ammiravano per l’eleganza, mai appariscente e sempre adeguata, la invidiavano per il corpo statuario, per il portamento fiero, per la singletudine serena che sembrava vivere. Altre signore, forse la maggior parte, la temevano o la commiseravano perché sola:<<Poveretta, manco il figlio viene per stare con lei qualche giorno>>. Alcuni uomini la guardavano con occhi lascivi, si avvicinavano a lei con mille scuse e cercavano di intavolare pietose discussioni culinarie, mettendosi a disposizione per la qualsiasi. Lei, sempre gentile, li faceva fuori in tre minuti al massimo. Altri signori si limitavano a salutare e rispettavano quel suo modo di vivere in riposo e solitudine e non si univano a certi cicalecci carichi di melliflua curiosità: <<Ognuno trascorre le ferie come crede, se ama stare sola non è un problema. Magari figlio e nipoti li incontra durante l’anno e questi giorni ama trascorrerli in pace>>. Qualcuno storceva il muso: << Ma è ancora giovane e senza un uomo! Almeno qui, attorno alla divorziata non se ne vedono da anni>>.

Le donne sole, specie se belle e indipendenti, ma anche gli uomini che scelgono di essere o di ritornare single, vengono spesso considerati “diversi e sbagliati”, destano curiosità perché escono dal canone tradizionale imposto dalla società e attorno a volte si ricamano interi romanzi dai finali inquietanti. Lei sapeva e non se ne curava. Si infastidiva solo quando negli altri si innescava una specie di affanno finalizzato a cercarle un compagno. E si allontanava.

In quel condominio l’affanno cessò la volta in cui uno yacht arrivò improvviso e silenzioso nel tardo pomeriggio e ogni attività sul litorale si bloccò. In quella baia non si erano mai viste imbarcazioni lussuose, solo qualche motoscafo. Bisognava spostarsi tre-quattro baie più avanti per ammirare una imbarcazione come quella che ora tutti, bambini, ragazzi, donne e uomini, stavano guardando in silenzio. Dopo l’iniziale stupore scattò una strana animazione: foto, selfie, video, nuotate lontane quasi a raggiungere il panfilo per farsi notare dai proprietari. Tutti cercavano di capire chi, cosa, come e perché.

Ai due uomini vestiti di bianco che avevano gettato l’àncora si aggiunse un terzo uomo in pantaloncini e maglia scura che dal ponte guardava verso la spiaggia. I due uomini in bianco scesero un canotto e uno di essi lo avvicinò alla riva, restando in attesa.

Di cosa? Di chi? Si chiesero tutti.

Di lei.

Dieci minuti dopo lei scese in spiaggia con andatura lenta, pareva danzasse nel suo completo pantalone blu e ecrù. I capelli ramati erano legati in una coda e un borsone bianco ciondolava elegante dalla sua spalla. Indossava dei grandi occhiali scuri e in mano teneva un cappello di paglia. I bagnanti ora guardavano solo lei, bellissima, lei che si avvicinava alla battigia, lei che faceva un cenno con la mano verso il panfilo, lei che toglieva i sandali e arrotolava i pantaloni, lei che con agilità entrava nel canotto per raggiungere lo yacht. La videro salire la scala dell’imbarcazione e raggiungere l’uomo vestito di scuro. Il silenzio fu assoluto quando i due si abbracciarono sul ponte. A lungo.

Il crepuscolo era ormai avanzato quando le luci del panfilo si accesero rilasciando riflessi dorati sull’acqua. I due uomini in bianco tornarono a riva col canotto, dove non era dato sapere, non interessava. Tutti erano attratti dalle luci riflesse sul mare e dalle sagome della coppia a bordo.

Quella sera alcuni rientrarono a casa molto tardi, altri consumarono la cena di fretta e andarono sul lungomare a prendere il fresco. Lo yacht era sempre lì, con le sue luci accese, la sua storia e i suoi sogni.

La mattina dopo lo yacht non c’era più e anche lei non era nel suo appartamento. Tornò nel condominio due giorni dopo e preparò le valigie. Prima di chiudere la casa salutò cordialmente le signore del complesso. Tutte si accorsero che aveva una abbronzatura ancora più bella e ognuna a suo modo fu contenta che lei fosse rientrata in quella che i più consideravano “quasi normalità”.

<< Voglio tornare single!>> esclamò dopo un po’ la signora più simpatica del complesso mentre ritirava una montagna di biancheria dallo stendino. Poi sorrise al compagno di sempre.

Brezza

09 martedì Apr 2019

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Senza categoria

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auguri, Brezza di primavera, gioventù, I miei racconti, Pasqua, primavera, racconto, ricordi

Buona PRIMAVERA, serena PASQUA! Che siano armoniose e cioccolatose.

brezza

Pomeriggio umido e noioso, tipico di una primavera che non si decide a esplodere. Il cielo nuvoloso contribuisce a questa forma di apatia che a volte colpisce a tradimento. In palestra la fatica e il sudore si triplicano e voglio subito andare a casa a fare una doccia. Così indosso la felpina color grigio smorto, afferro la sacca e via. Questo misto di stretching, pilates e posturale farà anche bene dopo la caduta dalla bici, ma è zero entusiasmante. Anche il gruppo di signore e signorine è alquanto monotono e tedioso. Bah,…qualche altro mesetto e  poi cambio rotta, forse piscina, forse tennis,…mi pare di essere già vecchia a 20 anni! Ok, ok, diamoci una mossa che ho un invito a cena e devo portare qualcosa di pronto. Ecco, devo comprare il prosciutto e il parmigiano, quindi ci vuole una sosta al supermercato.

Poca gente nei corridoi. L’apatia colpisce in massa? Prendo le quattro cose che servono e mi avvio verso le casse. Sono tre e in ognuna ci sono due persone in fila. Scelgo la prima, la commessa mi sembra un filino più sorridente e veloce delle altre. Conosco le tre ragazze alle casse anche se confondo ancora i loro nomi, sono sempre le stesse da anni; a volte sono ciarliere coi clienti e tra loro e pronte alla battuta accogliente e spiritosa, altre volte sono ombrose e silenziose. In questo momento sono tutte zitte e prese dal lavoro fatto di gesti sempre uguali e monotoni, nonostante la varietà della clientela. Evidentemente noi clienti del momento siamo più mosci di loro.

Ma ecco che accade qualcosa e tutto cambia: arriva una Brezza e… l’afa sparisce, l’aria si riempie di voci allegre, di saluti, di sorrisi, di battute, di simpatia. La Brezza indossa dei jeans attillati e una camicia azzurra, ha i capelli castani arruffati, una barbetta appena accennata, occhi nocciola e un sorriso da urlo.

Non è ancora arrivato alle casse e già le tre commesse si sbracciano per salutarlo e lo stesso fa lui. Resto ipnotizzata: “Ti prego, ti prego, vieni alla cassa 1….” Macchè! Si dirige alla cassa 3, la più lontana da me. Sempre fortunata io, eh! Ma forse è meglio così. Sono un disastro con questa tuta anonima, i capelli raccolti a coda alla meno peggio, lucida di sudore e magari sto puzzando. Da domani in palestra si andrà con trucco, scarpe alte e minigonna. I camerini ci sono per cambiarsi, uffa!  Mi do un contegno e guardo senza interesse un espositore di dolcetti, ma la sua voce, ahhh…mescola la mia pancia e i miei ormoni.

 La Brezza ride e scherza con le commesse, fa domande, risponde ammiccante. Mi volto a guardarlo: è uno schianto, un sogno, un’oasi. Io sono trasparente per lui: si gira, si muove, aiuta una signora coi pacchi, parla, sorride. Le commesse si scordano di noi e noi ci scordiamo del mondo perchè ora è lui il mondo. E’ lui il cielo azzurro come la sua camicia; lui la terra fresca e morbida come i suoi riccioli; lui la forza che fa vibrare l’aria come la sua voce. Imbambolata, mi ritrovo a implorare in silenzio: “Guardami, parlami, avvicinati, sfiorami!” Poi la Brezza si avvicina all’espositore di dolcetti,… Dio quanto è vicino, adesso! Sento la fragranza del suo profumo, un misto di sandalo e patchouli. Ma che fa? Prende una confezione di ovetti di cioccolata e la apre: “Per te” dice, mentre mi porge un ovetto. “Per me…, l’ha detto A ME!” Prendo l’ovetto incapace di dire una parola. Brezza distribuisce un ovetto alle commesse, ai due clienti in fila alle casse e incanta tutti.

Intanto la commessa mi sta chiamando, è il mio turno.  Mi accorgo che anche lui sta pagando e spero che usciremo insieme, spero di scontrarmi coi suoi pacchi, di inciampare tra i suoi piedi:”Daiii, fammi pagare o lo perderò per sempre!” Lui ha finito, sta salutando tutti mentre si incammina verso l’uscita. E io? Io resto bloccata da un rotolo di scontrino finito e che deve essere sostituito, cavolaccio!

Lo guardo uscire, il suo lato B è incantevole come il lato A. Sorrido a questo pensiero da ormoni sconnessi, sorrido e finalmente sciolgo la tensione e cancello il grigiore. Esco in tempo per vederlo salire su un motorino e andare via con una sventola di bionda. In mano ho il suo cioccolatino. Lo scarto, lo assaporo e vado verso casa con una energia diversa.

Tanto io in quel supermercato ci torno, eccome se ci torno! 😉

 

 

 

H.24 (Loro)

04 domenica Feb 2018

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Senza categoria

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circostanze di vita, coppie, famiglia, h24, incomprensioni, interessi, lavoro, Lui e Lei, nuovi equilibri di coppia, pensionamento, solitudini

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(Ultima parte di tre)

LEI

Ho mal di testa. Pier Ferdinando non tornerà al suo amato lavoro, i quadri organizzativi dell’azienda ora non lo consentono. A pranzo mi dovrà ascoltare! Che si inventi la qualsiasi per darsi una mossa, consulenze private, palestra, ippica,… qualcosa che gli dia un pochino di entusiasmo. Gli ho detto del bricolage, del cortile da sistemare, della biblioteca,…mi ha guardata come fossi un ‘ebete! Mi ha parlato di campeggi. I campeggi…alla nostra età!

LUI

Ho mal di testa. Lionella fa discorsi strampalati, vuole che mi metta a zappare il cortile, che mi inventi un hobby, che …che…che… Non le piace nulla di ciò che le propongo: lunedì c’è la carioca con le amiche, martedì c’è da stirare, poi ci sarà da curiosare all’outlet… No, più tardi mi sentirà, ci sono io, anche io e da adesso le giornate le programmeremo insieme, che le piaccia o meno. Tanto per iniziare  desidero eliminare qualche mobile e crearmi una stanzetta per fare sport in casa, io non amo le palestre con tutta quella gente che suda e alza la polvere. Comprerò qualche attrezzo sul web. E poi voglio un cane e un gatto! Farà storie, grosse storie, ma dovrà rassegnarsi!

……    ……

Lei: Che programmi hai per pomeriggio? Io andrò dalla mamma di Marta, sta male e noi amiche facciamo i turni per farle compagnia e sollevare un pochino Marta dall’assistenza.

Lui: Pomeriggio farò una visita al canile comunale. Voglio prendere un cane, lo desidero da tempo.

Lei: CosAAA?! Toglilo dalla testa, un cane a casa mia non entrerà mai! Hai scordato che sono allergica ai peli dei quadrupedi?!

Lui: Casa tua??? Casa nostra, vorrai dire! Anche mia! Ci saranno degli antistaminici per la tua allergia e poi pensavo di costruire una cuccia vicino al garage, in cortile, fuori, così la mia madame non si turberà!

Lei: Mai e poi mai! Che ne sai te della tua madame? Quanto l’hai vissuta negli ultimi decenni? Lavoro, ufficio, colleghi, mai casa e famiglia, mai! Sempre e solo al minimo sindacale!

Lui:  Cosa vi è mancato? Non venirmi a dire che ti sono mancato io, eh! Sei ben organizzata con le amiche, la palestra, il computer, la casa, le figlie. Mai una richiesta o uno spazio per me, con me. Mai un interesse da parte tua sul mio lavoro, il mio ambiente, mai!

Lei: Il tuo ambiente! Questo è il tuo ambiente! Qui c’è la tua famiglia. Sai cosa è una famiglia? O sai solo di lavoro, colleghi e segretaria?! A stento conosci i tuoi nipoti. Tua moglie, poi… Hai avuto da me dedizione, fedeltà, rispetto e hai dato a me, a noi, solo serenità economica. Ho dovuto riempire la tua assenza, anche nelle forme più sciocche!

Lui: Non  nego di essere stato un po’ distante. Ti sei chiesta il perché? A casa non esistevo, sono stato un ospite, non avevo un ruolo, non potevo intervenire nei discorsi con le ragazze, tu sempre presa dalle tue giornate. Voi tre, voi tre e io. E, non lo crederai, ma anche io ti ho sempre rispettata. Riconosco il tuo impegno, la tua solitudine, ma pure tu devi ammettere di avere sbagliato su tante cose. Avrei preferito meno camicie stirate alla perfezione, più disordine in casa e la Lionella di venti anni fa!

Lei: Lo sai quanto ho pianto quando decidesti di prolungare il lavoro? O quando mi dicesti che avresti pranzato ogni giorno coi colleghi? O tutte quelle volte che andavo a fare la mammografia e poi non mi chiedevi l’esito? Mi hai dato un guscio di casa e due figlie e mi hai detto che il mio posto era qui e ho fatto del mio meglio perché tutto andasse bene, anche per te: quante volte ho disturbato la tua carriera con delle richieste? Credevi non avessi desideri?!? Credi sia stato facile crescere da sola due figlie?!

Lui: Avrei voluto essere disturbato! Sapere che nei tuoi pensieri c’ero anche io! Ma tu dovevi dimostrare al mondo di farcela anche senza di me! Ora siamo noi due, h 24, e sei, e siamo… smarriti.

Lei: H 24, già. Sono stata dal tuo capo per chiedergli di riprenderti. Inutilmente.  Non sei felice da solo con me e non sopporto di vederti così abbattuto, senza un programma, una meta, un interesse…

Lui: Ho chiamato Paola, per un attimo ho pensato che andare a vivere con loro avrebbe dato un senso maggiore  al nostro continuare insieme. Anche tu non sei felice h.24 con me, mi sento  di peso. Dove abbiamo sbagliato tutti e due non lo so. O forse sì.

Lei: Non possiamo cancellare gli errori, forse possiamo decidere come proseguire. Siamo ormai anziani, abbiamo bisogno di …Rispondi tu al telefono?

Lui: No, vai tu, sicuramente cercano te.

…….    …….

Lui: Che succede? Chi era? Sei pallida.

Lei: Karola. Suo marito ha perso il lavoro tre mesi fa, non riescono più a farcela al Nord, mi ha chiesto se possono venire a vivere da noi, lui riprenderà il lavoro nella serra del padre, Marcolino si trasferirà nella scuola qui vicino e, se tutto andrà bene, poi affitteranno una casa.

Lui: Non ho mai sopportato il marito di Karola, lo sai.

Lei: Non lo conosci.

Lui: E quando pensano di trasferirsi?

Lei: Il prossimo mese, forse prima.

Lui: Tu che dici?

Lei: Non possiamo chiudere la porta in faccia a nostra figlia. Dico sì. E tu?

Lui: Quello che dici tu. Marcolino prenderà la stanza delle ragazze e Karola e il marito si adatteranno in mansarda? Ci andrà di mezzo il tuo bricolage…

Lei: Figurati…non ho più la forza per lavorare il legno. Sì, si può fare.

Lui: Dobbiamo rifare il bagno e comprare alcuni mobili nuovi. Andiamo all’Ikea nel pomeriggio?

Lei: No, io andrò dalla mamma di Marta, tu inizia a prendere misure, cerca un idraulico, fai preventivi e organizza per la prossima settimana. Sarà un compito tuo, io sono stanca, ti seguirò volentieri, ma a distanza.

Lui: Ti fidi?

Lei: Sempre. Ah, dimenticavo: porteranno anche Mia.

Lui: Chi è Mia?

Lei: La loro bassottina. Pensa, quindi, alla cuccetta nel cortile. Io chiamerò il medico per l’allergia. Vuoi un caffè?

Lui: Sì, bello forte. Grazie.

 

H 24 (Lui)

24 mercoledì Gen 2018

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Senza categoria

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coppie sull'orlo di una crisi di nervi, distanze, famiglia, Fornero, lavoro, Lui e Lei, pensionamento

 

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(seconda parte di tre)

Lui

L’altra mattina ho fatto qualcosa di incredibile: ho telefonato a mia figlia maggiore e con mille giri di parole le ho praticamente chiesto che ne pensasse dell’eventualità di trasferirci io e la mamma nella sua casa del Nord. Che ci stiamo a fare da soli qui?  Ora che sono un pensionato  potrei spostarmi, qualche liretta c’è per affrontare il trasloco e potrei essere utile ai nipotini, conoscerli meglio, intanto. Non so, magari si potrebbe costruire una nuova idea di famiglia, famiglia che ho percepito poco a causa -o grazie- al lavoro. Lei, mia figlia, con un altrettanto enorme giro di parole, mi ha detto che sono ben organizzati con asili nido e baby sitter, che sarebbe bello ma ci vorrebbe una casa in affitto, da loro non c’è spazio, che tra poco probabilmente si sposteranno in un’altra città, che… che…che. Afflitto, ho chiuso il telefono. Con la minore non ci penso nemmeno, mio genero mi provoca l’orticaria.

Che fare? Proprio non lo so. So solo che così non va. La mia vita ha preso una svolta aspettata: temevo il pensionamento, e a ragione. Mi sento spento e senza obiettivi. Ho una casa, una salute che regge, una discreta pensione e una moglie ancora piacente e piena di energie, nonostante i suoi sessantacinque anni e qualche acciacco. Lionella è una brava persona e una buona moglie e madre, non posso farle grossi rimproveri. Anche io sono una brava persona e penso di essere stato un buon marito e un buon padre. Un po’ distante per il mio lavoro, ma comunque presente,  non ho  fatto mancare nulla a nessuno. C’ero quando sono nate le bimbe, c’ero a tutte le feste comandate, ai matrimoni,  c’ero tutte le volte che era richiesta la mia presenza. Certo, non è stato semplice vivere con tre donne, mi sentivo escluso dai loro interessi, per me spesso futili,  e forse  per questo mi rifugiai sempre più nel lavoro, ma anche e soprattutto perché il lavoro mi piaceva. Bello l’ambiente, importanti le responsabilità e le gratificazioni, gradevolissimo il rispetto per ciò che facevo. In quegli uffici mi sentivo vivo, ebbro di me stesso, forte, utile. A casa…ero un gradito ospite serale. La cosa non mi pesava, Lionella mi toglieva i pensieri della quotidianità e mi permetteva di dedicarmi anima e corpo al lavoro e di far carriera, quella carriera che lei non tentò nemmeno per portare avanti la famiglia, la nostra famiglia.  Quasi non mi accorsi che le bambine erano diventate donne, che mia moglie stava invecchiando. Non mi accorsi che gli amici di gioventù erano spariti perché  mi ero chiuso nel mio gratificante guscio lavorativo. Perché Lionella non mi ha mai chiesto di  andare al mare? Di fare un viaggio? Io gliel’ho mai chiesto? Boh… la domenica mattina la dedicavo al calcio, il pomeriggio c’erano i ragazzini della cooperativa da allenare, in serata qualche film e il lunedì di nuovo al lavoro. In ufficio ritrovavo Pier Francesca, la mia segretaria di sempre. No, no, mai nulla con lei, ma era così piacevole affrontare la giornata insieme, comprenderci con uno sguardo, essere complici, discorrere e…vabbè, sì, un pochino corteggiarci, ma solo un po’, niente di niente, sapevamo che dovevamo rispettare i nostri ruoli di coniugati. Mi manca! Con lei si parlava di tutto, mi comprendeva a colpo, mi ascoltava, si fidava e metteva a nudo le sue fragilità. Basta, inutile ricordare, si fa tardi, devo tornare a casa, forse Lionella ha bisogno di me. Ma anche no, lei sa fare tutto, è abituata, ha imparato in fretta. Ha dovuto e l’ho costretta io.  Per assurdo che sembri sarei dovuto andare in pensione almeno dieci anni fa, quando  tra noi due c’era più intesa e passione, le figlie erano ancora a casa e sarebbe stato più semplice  fare il marito e il padre. E adesso? Ora sto con Lionella H 24 e mi sento un fantasma. Giro per casa, cerco un po’ di spazio, ma di mio ci sono solo un armadio, due cassetti, mezzo letto e la mensola del bagno. Persino la mansarda è diventata sua con gli attrezzi per il bricolage di legno! Non posso fargliene una colpa: io ero altrove.  Adesso mi rattrista vedere Lionella tesa, guardinga, come se vivesse con uno sconosciuto. Le voglio bene, guai se si ammalasse, ma H 24 con lei e con le sue abitudini è… è…senza meta!  A volte prendo l’auto e giro a zonzo per ore, per togliermi di torno, ma anche per respirare di ricordi e nostalgie. Ah, se solo potessi tornare al lavoro per un paio d’ore al giorno! Sarei un uomo felice e lo sarebbe anche mia moglie. Vederla più serena mi farebbe  stare meglio.

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A QUESTO PUNTO  ANDARE AVANTI DIVENTA UN PO’ COMPLICATO. I GIOCHI SEMBRANO COMPIUTI.

CHE AVESSE RAGIONE LA FORNERO COL SUO “LAVORARE, LAVORARE, LAVORARE, FINCHE’  MORTE NON VI SEPARI DALLO STESSO”?!?

GIAMMAI !!!

UN FINALE  LO TROVO E SARA’ …COME PIACE A ME. LO AFFIDO ALLA VITA E A CERTE INASPETTATE CIRCOSTANZE CAPACI, A VOLTE, DI SCHIARIRE LE NOTTI PIU’ NUVOLOSE.

H 24 (Lei)

16 martedì Gen 2018

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Senza categoria

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coppia, coppie che scoppiano, equilibri, famiglia e lavoro, Lui e Lei, pensionamento, racconto, società, solitudini

 

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(Prima parte di due, forse di tre)

Lei

L’altra mattina ho fatto qualcosa di incredibile: sono andata dall’ex dirigente di mio marito, che è anche un buon amico, e l’ho pregato di riprenderselo! Con voce per nulla scherzosa, gli ho chiesto di togliermelo da casa e di trovargli qualcosa da fare negli uffici, qualsiasi cosa, anche gratis. Lui mi ha risposto che prevedeva questo perché Pier  Ferdinando ha amato sempre il suo lavoro e da pensionato, quale ora è, nei primi tempi ne avrebbe sofferto sicuramente. “Sono trascorsi nove mesi dalla pensione e non si è ancora adattato?” Ho risposto di no, non si è adattato lui e non mi sono adattata io. Ha sorriso benevolo e mi ha promesso che ci penserà.  “Presto!”, gli ho detto mentre lo salutavo, “Fai presto o scoppieremo entrambi”.

Ma cosa ho combinato? Per la maggior parte delle coppie il pensionamento è una gioia: si potrà stare  più insieme, si potranno fare cose nuove o  da sempre rinviate, viaggiare ad esempio, dedicarsi agli hobby, ecc…ecc…Viaggiare…con la maledetta paura degli aerei che abbiamo…. E poi ci vorrebbero tanti soldini. Hobby? Il suo hobby preferito è il lavoro, sì, c’è il calcio, ma alla sua età e con gli acciacchi che ha, se lo può scordare.

Per la maggior parte la pensione è una gioia, per altra maggior parte è una jella che rompe delicati equilibri faticosamente conquistati..

Pier Ferdinando è un bravo marito e  gli voglio un bene dell’anima: guai se gli succedesse qualcosa di brutto! Però, non lo voglio in mezzo ai piedi H 24!!! Da quando è in pensione, dispersi gli amici visto che da quell’ufficio usciva solo la domenica, gironzola per casa come un fantasma, si impiccia in tutto, vuole fare e alla fine non combina nulla. Un po’ mi aiuta, con la spazzatura, ad esempio, o se devo spostare un mobile o pagare una bolletta alla posta, ma non ho bisogno del suo aiuto, da quarantacinque anni me la sbrigo da sola. Sta diventando sciatto:  in tuta, persino in pigiama tutto il giorno,  ciondola davanti alla tv. Se devo uscire per delle commissioni, mi si appiccica dietro, se vado a trovare un’amica( io alcune amicizie ho saputo mantenerle, a differenza sua),  inizia a frignare che non vuole stare solo per troppo tempo per poi diventare muto quando siamo insieme. Solo quando sparisce per alcune ore con la macchina, dove va non lo so e non mi interessa, riprendo a respirare libera per casa. Io sono una buona  moglie, madre e nonna, sono attenta e fedele, premurosa con tutti, ma lui da qua.ran.ta.cin.que anni mi ha abituata a stare da sola, lui e il suo amato lavoro! Partiva alle 7.30 del mattino e ci si rivedeva alle 7.30 di sera. Alle  22.30 eravamo tutti a letto. Persino il pranzo preferiva fare alla mensa coi colleghi anche se il suo ufficio era a 10 minuti da casa! All’inizio ci rimasi molto male, poi mi rassegnai  a pranzare da sola, le bambine stavano a scuola sino al pomeriggio, e i miei pranzi erano volanti, quando c’erano, di solito un panino davanti alla tv. Da sola. Avevo tempo e la casa tutta per me: con calma  organizzavo la mia giornata, distribuivo bene le ore per pensare alle pulizie, a tutto ciò che richiede la vita, pagamenti, certificati, pratiche varie e pensavo  alle figlie e a me stessa. Anche a mio marito. Stiravo le sue camicie alla perfezione, tanto per dirne una; Pier Ferdinando è sempre stato un figurino, ancora adesso le amiche me lo invidiano  per l’eleganza, la signorilità, la simpatia. Mi è mancato durante l’adolescenza delle ragazze, non è stato facile per me e per loro e poi eravamo ancora giovani, in salute, la passione reggeva, ma il tempo del pensionamento si prolungò per leggi e leggine varie. Quando, poi,  le ragazze si sposarono  al Settentrione, lui  chiese e ottenne altri anni di proroga dal pensionamento. Altra delusione per me e così  ho scoperto Skype, Instagram e altro. No, non ho mai fatto nulla di disdicevole, chat  e videochiamate con le figlie e con i nipotini che altrimenti vedrei due volte l’anno,  pubblicazione di alcuni lavoretti di bricolage di legno che sono la mia passione, chiacchiericcio di tutto e di niente con questo e quello. Ora, con il marito alle costole, tutto  diventa pesante: ” Che fai? Questa chi è? Non cucini?”. Uffa e riuffa! Devo inventarmi qualcosa, se non tornerà in ufficio, anche se ha già compiuto settanta anni, scoppieremo! Inoltre, io voglio continuare a vederlo felice e, evidentemente, da solo con me non lo è.

Il corteggiatore e le parole al vento

19 domenica Nov 2017

Posted by ili6 in I miei racconti, Senza categoria

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campagna, chiacchiere e dicerie, corteggiatori scriteriati, il piacere di scrivere, infatuazioni, parole al vento, Paul Gauguin, poeti e poetuncoli, racconto di fantasia, vento, vita bucolica

swinehrd

Paul Gauguin – The Swineherd, Brittany – 1888

 Nel paese le chiacchiere spesso volavano come il vento tra le vie e le piazzette e, come il vento, a volte erano stuzzicanti e giocherellone , altre  sferzanti, fastidiose, gelide, ostili. Da un paio di settimane non si parlava d’altro nei punti di ritrovo della gente: il professorino era stato denunciato  per corteggiamento scriteriato e nel paesello fu come se si fosse abbattuto un forte Grecale. In effetti il professorino, vista la sua carriera di docente  e di ricercatore, era un professorone. Aveva pubblicato alcuni libri scientifici e collaborato con varie università europee, ma per la gente restava sempre il professorino per via del suo corpo esile e della bassa statura nonché per l’impatto sociale che nel paese era minimo. Non era schivo ma, gira e rigira, per i più restava inconcludente. Criticava spesso, partecipava poco, curiosava alquanto, litigava sovente. Alcuni lo additavano come genio, altri, molti altri, facevano spallucce. Non si poteva nascondere, inoltre, che il prof era un tipo un pochetto strambo, almeno lo era stato in gioventù con quella fissa per le poesie. Ne scriveva di ogni tipo e tema, in rima, in dialetto, in prosa, in musica e, da giovane usava spesso intervenire poetando a squarciagola. Lo faceva in mezzo alla strada, al centro delle piazze, al bar, così, senza un motivo o una richiesta, a volte per corteggiare una ragazza, per salutare qualcuno che passava a miglior vita, per osannare un Santo e mai nessuno veniva colpito da incanto sentendo i suoi versi. Era comunque una cosa innocua, ritenuta bizzarra e nulla più, così come certe sue lunghe  fughe nella lontana casetta di campagna,  in compagnia del silenzio, degli animali e delle piante Poi il professorino si sposò con una brava donna, ebbe delle figlie e si dedicò forsennatamente alla ricerca scientifica e, un po’ meno, all’insegnamento e alla famiglia.

 A quasi settant’anni, il professorino si invaghì di una giovane, avvenente e tosta signorina,  che in amore era stata capricciosa,  che combatteva quotidianamente con un padre rozzo e vagamente maschilista, ma le battaglie le vinceva quasi tutte lei, come non si sa. Il prof, già in pensione,  viveva separato nella bella casa di paese: la moglie  era ormai un’acciuga trasparente, una figlia era andata a fare carriera medica oltreoceano, l’altra era rimasta intruppata con una setta religiosa. Così il professorino, folgorato dall’avvenenza  della quarantenne,  aveva ripreso foglio, penna e voce e ogni giorno si appostava sotto il suo balcone e urlava frasi d’amore e versi sconnessi. A volte  la seguiva al lavoro o al supermercato. Non andava oltre, ma questo bastò alla gente per divertirsi, ricamare e cucire,  sollazzarsi e bearsi così come accade al levarsi del Ponentino dopo una pesante giornata di calura.

 La signorina inizialmente si esaltò, ma un bel giorno ne ebbe abbastanza di quella ridicola situazione e presentò denuncia ai carabinieri. Chiacchiere e pettegolezzi si rafforzarono e il paese fu scosso  da un impetuoso vento di Levante. In realtà in pochi nel paesello furono sorpresi della denuncia per corteggiamento insensato. I compaesani si aspettavano da tempo che il prof ne combinasse qualcuna, le bizzarrie di gioventù non erano state dimenticate e a poco era valsa la pur rispettabile carriera di ricercatore  fatta di studi e di seri impegni.

 I prodi dell’Arma di un paesello, si sa, cercano di fare da paciere tra i contendenti per evitare scocciature reciproche, specie se il contendere sfiora l’illegalità senza entrarci dentro in pieno. Insomma, non essendo una denuncia per stalking vero e proprio, si poteva tentare la via del buonsenso, ma con quei due ci fu poco da fare: caduto il frizzantino del corteggiamento ed esaurita la vena poetica, se ne dissero di cotte e di crude.  Ben presto vennero chiamati i testimoni, amici di amici di amici a dire la propria. Ognuno diede una sua versione, opinò in maniera personale, discusse su fatti non conosciuti, riportò, inventò se necessario, ritrasse se utile. Nei circoli e nelle associazioni non mancarono le scommesse e le puntate, nei gruppi wapp fiorirono le barzellette, in quelli di preghiera le recite tipo Via Crucis con esilaranti stazioni a tema.

 Un Ostro, poi,  si adagiò nel paesello: l’attesa della sentenza fu  in ogni dove. Quando questa arrivò il paese fu attraversato da un Libeccio che portò una veloce tempesta. Il professorino fu condannato a vivere per cinque anni nella casetta di campagna, senza poter più mettere piede nel paese. La signorina seppe approfittare della tempesta per fare le valigie e cercare una vita migliore lontana da quel padre ingombrante e dagli stolti corteggiatori.  La moglie del prof rifiorì, riprese peso e voglia di vivere, si iscrisse in palestra e a una scuola di ballo e spesso  la si sentiva  canticchiare per strada. Le dicerie cessarono e le bizzarrie del prof quasi mancarono ai compaesani che dovettero trovare altro su cui ricamare. Qualcuno ogni tanto portava delle news dalla campagna: il professore, stregato dalla bellezza bucolica e da uno Zefiro compiacente, aveva ripreso a scrivere poesie e le declamava alle mucche e alle pecore che, pareva, gradissero. In effetti mai il latte di quelle parti era stato così abbondante e buono.

Bolero

31 lunedì Lug 2017

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Musica, Senza categoria

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Agosto, Bolero di Ravel, catarsi, condomini, convivenze, estate, I miei racconti, Maya Plisetkaya, musica, racconti sotto l'ombrellone

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Cris abita in un palazzetto un po’ aristocratico e un po’ demodè da quasi un anno. Un voluto trasferimento lavorativo l’ha portata in quella bella e fredda città del Nord e, benchè le manchino tanto il suo Sud e la sua famiglia, non se ne lamenta e considera tutto come una necessaria parentesi di vita o come una opportunità di cambiamento. La città è interessante, c’è sempre qualcosa da vedere nei  pomeriggi liberi: mostre, monumenti, paesaggi, quartieri eleganti. Per il resto le sue conoscenze si fermano all’ambito lavorativo e, seppur superficiali, tra qualche famigliola del palazzotto. Non ha ancora chiaro chi abiti quei nove appartamenti, sa che in quello sopra di lei sta una anziana coppia di coniugi, peraltro fredda e distaccata, tipico di chi non vuole avere rapporti con “stranieri”, in quello di fronte vivono due sorelle avanti negli anni con cui ha preso qualche the e speso alcune chiacchiere e l’appartamento sotto è di un vedovo, un cardiologo che vi abita  con due ragazzini e l’anziana madre, signora gentile e sorridente, forse l’unica ad averla accolta in quello stabile, dopo il portiere. Cristina non dà fastidio a nessuno, è attenta alle regole di civile convivenza e non ha tempo e voglia di instaurare vere amicizie. Aspetta Ferragosto per ritornare a casa sua, dove il cielo è azzurro come i suoi occhi e il mare ha tutte le tonalità del blu. Dove ha lasciato lui. Dove forse lui non l’attende più.

Pochi giorni fa, però, in una notte calda e stellata, per la prima volta Cristina arrecò disturbo e qualche scompiglio tra gli abitanti del condominio. Inquieta e pensierosa, si sentiva sola come non mai e ebbe una decisa crisi di nostalgia per la sua famiglia, per gli amici, la sua casa, il suo blu. E per lui.
Per calmarsi era necessaria un po’ di buona musica; Cristina sapeva che era già trascorsa l’una e poteva infastidire qualcuno, ma al diavolo tutto e tutti. Così accese lo stereo a tutto volume e le note del Bolero di Ravel invasero i suoi pensieri, l’appartamento e lo stabile. Quella melodia uniforme, ripetuta e crescente, pazza e provocatoria, lei sa anche ballarla, non su un tavolo come vide magnificamente fare a una ètoile a teatro, ma a piedi nudi su un tappeto. E’ una musica che le ha sempre dato forza, magia, catarsi e sostegno. Così, al lieve attacco del flauto, Cristina accennò qualche timido passo di danza per prendere il ritmo e, quando sentì l’ingresso del clarinetto e del fagotto, tentò di svuotare i pensieri e iniziò a infondere plasticità al suo corpo con semplici movimenti geometrici. Ah, se lui l’avesse vista in quel momento mentre alzava lentamente le braccia o inarcava la schiena: sarebbe rimasto incantato! Ma lui, il suo lui, chissà dov’era.   Nella partitura entrarono altri gruppi strumentali dagli impasti timbrici sempre più complessi e raffinati e lei mise forza, ampiezza e stile ai movimenti, seguendo il ritmo del tamburo che le faceva martellare cuore e mente. Cris era straordinaria nella sequenza crescente e sferzante dei movimenti, sempre più sensuali e decisi. Accompagnava il crescendo musicale con piroette, piegamenti, abbracci e sguardi sempre più fieri e determinati. Se solo lui avesse incontrato quegli sguardi! Avrebbe capito che lei stava affrontando tutto con estrema forza per il loro futuro. Avrebbe meglio compreso l’ opportunità che gli stava offrendo con quel lavoro al Nord: lasciare tutto e tutti per correre da lei, per cambiare vita, insieme, per sempre.
La musica del Bolero si avvicinava al culmine con la progressiva partecipazione di tutta l’orchestra e riempiva ogni angolo dell’appartamento. Cris sentì lo squillo del telefono e il campanello della porta, sicuramente il portiere e qualche altro suo vicino erano corsi per protestare, ma lei ignorò e continuò la sua danza forsennata, incantatoria, orgiastica. No, no, lui non l’avrebbe mai seguita, non sarebbe stato capace di dare un colpo di spugna a quel tanto o poco che aveva costruito laggiù, e lei lì non poteva farne parte. No, no…era arrivato il tempo di chiudere.
Nell’accordo dissonante finale del Bolero si ritrovò a terra in posizione balasana. Lentamente riprese a respirare, aprì gli occhi e, nel silenzio ritrovato, attese che il ritmo del cuore tornasse normale. Poi si sdraiò supina e stette a lungo a osservare gli stucchi del soffitto di quella stanza. Sentiva movimento sulle scale e qualche borbottio e decise di non farci caso. Si alzò, fece una lunga doccia, poi andò a dormire senza sogni.
Il pomeriggio seguente preparò dei biscotti al pistacchio e cannella, antica ricetta di famiglia, e ne lasciò due vassoi in portineria per chi avesse voluto assaggiarli. Accompagnò i vassoi con un biglietto di scuse rivolto a tutti gli abitanti del palazzo. Il portiere non mancò di riferire qualche lamentela e la pregò di non ripetere l’accaduto.

La domenica si annuncia assolata, ma non caldissima grazie al maestrale e Cris decide di andare a pedalare sul lungofiume. Mentre sta per uscire il portiere la blocca e la informa che i biscotti erano buonissimi e sono stati molto graditi,  soprattutto dalle sorelle dirimpettaie, dal cardiologo e da sua madre. Quest’ultimo ha lasciato per lei un biglietto : “Ottimi sia i biscotti che le note vorticose dell’altra notte. Si potrà ripetere, ogni tanto. Armando.”
Cristina adesso sa il nome del medico incrociato tre o quattro volte sulle scale con distratti buongiorno e buonasera. Di lui non sa altro, solo poche notizie dette dalla madre quando entrambe scambiano due parole mentre si ritrovano a stendere i panni nei rispettivi balconi.
Qualcosa le dice che ci sarà modo e tempo per saperne di più.

Sereno e felice Agosto a chi passa da qui

Fresie

23 giovedì Mar 2017

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Senza categoria

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accanimento terapeutico, amore platonico, eutanasia, fresie, genitori e figli, primavera, testamento biologico, vecchiaia

Fresie.

Foto web

Si preannunciava una giornata solare, in cielo non c’erano più nubi scure,  l’erba del giardinetto era tornata calma, seppur ancora scompigliata dalla bufera dei giorni precedenti. Ivana sorseggiava in terrazza su uno scomodo divanetto di legno un caffè dal gusto non gradevole; la vecchia moka aveva fatto il suo tempo e chiedeva di smettere la sua esistenza. “Anche tu…”, pensò, gettando uno sguardo triste alla caffettiera.

Aveva dormito male quella notte, peggio delle altre, eppure poteva essere diverso visto  che erano tornati tutti a casa. Invece no, il peso delle settimane precedenti le era piombato addosso insieme alle parole di suo padre. Le ultime parole. Ivana lo conosceva bene e sapeva della sua testardaggine, del suo orgoglio, della fermezza che lo distinguevano: non le avrebbe più rivolto la parola se lei avesse insistito per farlo curare. Questa era stata la terribile sentenza mentre si apprestavano a tornare a casa dall’ospedale. Era stato un ottimo padre, sotto ogni profilo, e Ivana lo amava immensamente. Entrambi, seppur in tempi diversi, si erano sacrificati l’uno per l’altra, lui per crescerla dopo la precoce morte della madre e lei per accudirlo durante la sua vecchiaia. Non era stata solo una vita di sacrifici e rinunce, ma una esistenza soprattutto di attenzioni,  tenerezze, sorrisi e viaggi,  avventure,  scoperte insieme. Poi la malattia, lenta e inesauribile. Ivana portava con sé le angosce, le preoccupazioni, le speranze, di quell’altalena di alti e bassi, di quel via vai in ospedale, di quelle nottate a vegliare quell’uomo che era stato una roccia e che ora era l’ombra di se stesso.

“E’ la quinta volta che mi fai ricoverare qui. Promettimi che non ce ne sarà una sesta. Dovrà accadere prima o poi, lo comprendi? Lascia che accada!” Questo le aveva detto suo padre con una voce flebile, ma tanto autorevole, pochi minuti prima che arrivassero i barellieri per portarlo a casa. Ivana era rimasta in silenzio e il padre aveva continuato:“ Ne ho parlato anche coi dottori, non accetterò più trasfusioni. Non è vita questa: lasciami andare…”

“No, papà, non posso farlo. Queste sacche di sangue ti rimettono su e non è un dramma venire qui ogni due mesi per le trasfusioni. Finchè faranno effetto noi saremo qui e insieme torneremo a casa.”

“A casa…a far cosa? Ormai non ho forza di nulla, non riesco in niente, ho dolori ovunque, sono appeso ai fili e comandato dalle badanti che mi hai messo attorno…”

“Devo lavorare, lo sai…”

“lo so, non ti faccio colpa di questo, stai sacrificando la tua vita, trascurando la tua famiglia, i tuoi amici…sei sempre al mio capezzale,…lasciami andare…promettimi che non torneremo più qui.”

“Non chiedermelo!”

“Cosa temi? La mia assenza? Sono un peso…No, Ivana, sei solo una grande egoista!”

“Ma che stai dicendo?!”

“So cosa temi: il rimorso di coscienza! Ma te lo sto chiedendo io…non avrai responsabilità alcuna…fallo per me, liberami dalle sofferenze e dalle umiliazioni di questo schifo di malattia, te ne prego. Non portarmi più qui: il nostro tempo insieme si esaurirà con le sacche di sangue che mi hanno appena iniettato. Sarà un tempo buono, ci prepareremo insieme…”

“Smettila di dire questo, non puoi chiedermelo! Sei tu l’egoista! Stai pensando solo a te, alle tue sofferenze fisiche, alla tua esistenza tra letto e poltrona. Non pensi a me, ai tuoi nipoti che non vedrai più crescere…e dici che io…no, papà, a costo di sedarti, torneremo qui finchè vita vorrà!”

“ Continui a chiamarla vita, questa… Sono morto da tempo, Ivana. Renditene conto.”

“Non sei morto, sei qui, sto parlando con te, mi guardi negli occhi, mi dai consigli, ascolti me e i bambini, il mese scorso hai anche fatto ripetere la geografia a Luca.  Che farò senza te? No, papà, non chiedermelo mai più. Non può una figlia decidere questo.”

“Ti sto chiedendo un gesto di amore. “

“Mi stai chiedendo di lasciarti morire!”

“Sì.”

“No. Ora cambiamo discorso, per piacere. Sai, hanno detto che domani sarà una bella giornata, tornerà il sole.  Andremo sul terrazzo e pianteremo tanti fiori colorati. Che ne dici? Luca ci aiuterà volentieri.”

“Non parlerò più con te sino a che non mi prometterai che mi libererai da questa esistenza. Non più una parola. L’ultima per te è adesso: ti amo, Ivana, ti amerò sempre e anche tu. Aiutami.”

“Papà, ti prego, ti prego…”

Ivana uscì dalla stanza e, incurante della bufera sferzante, corse fuori da quell’ospedale. Camminò a zonzo, senza nemmeno sapere dove, il cuore in gola, le lacrime che si confondevano con la pioggia. Sapeva che doveva rientrare in ospedale, stava arrivando l’ambulanza per tornare tutti a casa. I barellieri erano ormai diventati amici di suo padre, il signor Mario l’avrebbe persino fatto sorridere. C’erano anche le due badanti ad assisterlo. No, non poteva tornare lì dentro, non in quel momento, non in quello stato, non con quella sentenza terribile. Non avrebbe sopportato il silenzio di suo padre e nemmeno la sua assenza. Continuò a camminare sotto la pioggia battente, rallentando il passo. In strada non c’erano passanti, solo alcuni automobilisti  frettolosi di tornare a casa per sfuggire da  quella tempesta di acqua e vento. Confusa, fradicia, quasi non sentì la richiesta di aiuto che proveniva da qualcuno. Si volse distratta e notò che una vecchietta era scivolata sul marciapiedi. Ivana andò verso la signora e la aiutò a rialzarsi. “Le buste, le buste… le prenda, sono un po’ pesanti. Ci sono i bulbi.” Solo in quel momento Ivana notò delle buste della spesa e alcuni semi e bulbi sparsi per terra. Li raccolse e li diede alla signora: “Sta bene?” La signora sorrise: “Sì, penso di non essermi rotta nulla, questa pioggia…grazie. Le chiedo un ultimo favore: mi accompagni nel negozio, è qui vicino. Le buste pesano,  lei potrà asciugarsi e le darò anche un ombrello.” Ivana prese sottobraccio la signora e presto arrivarono in un negozio di merceria: “Grazie, qui sono al sicuro. Le mie buste di fiori?” Ivana porse le buste e chiese che semi e bulbi fossero. La signora rispose che erano vari tipi di fiori che sarebbero sbocciati in estate. Poi prese una manciata di semi e li regalò a Ivana. “Sono semi di fresie. Se li curerà bene, col caldo saranno una meraviglia. Non deve avere fretta di vedere il fiore, la bellezza sta nell’assistere alla crescita lenta,foglia dopo foglia, germoglio dopo  germoglio. Poi il fiore  si aprirà in tutto il suo splendore e profumo. Durerà, ma segnerà anche il tempo del distacco. Lentamente, dopo aver donato tutto di sé, la saluterà. Oltre non potrà. Sa che le fresie sono il fiore dell’amore platonico, del mistero, dei ricordi, della malinconia? Nel mio giardino non mancano mai: quanta dolce malinconia del bel tempo che fu…”

“Non è riuscita a fermare nulla di quel tempo?”

“Oh, sì. Non puoi fermare il tempo né le persone care, ma nel cuore sì.”

Il sole si fece più deciso, Ivana si alzò lentamente dal divanetto e andò a prendere la giacca della sera prima per farla asciugare. Dalla tasca tirò fuori i semi delle fresie e poi svegliò Luca: ”Dai, ragazzino, ho bisogno di te. Andiamo al vivaio e poi dal nonno, staniamolo dal letto e facciamoci consigliare per sistemare le aiuole. E’ tempo di fiori: godiamoli finchè sarà possibile.”

La pastina

18 mercoledì Gen 2017

Posted by ili6 in Articoli, I miei racconti, Senza categoria

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il piacere di scrivere, racconto, uomini e bambini, vita

padre-figlia

Foto web

E ora che si fa, piccolina? Siamo rimasti soli soletti. Vuoi fare un sonnellino? Con quegli occhioni così aperti…Dai, ti racconto una fiaba. Ma quale?

“Ello, io Iccao!”

Sì, bello zio Riccardo, bello che non sa che fare con una bimbetta di pochi mesi. Ma dico io se ti dovevano affidare a me, stamattina! Ok, la baby sitter ha l’influenza e qua sono tutti insegnanti, tuo padre, tua madre, tua zia, persino tua nonna, e sono tutti a scuola. E tu sei con me; mi piace, lo sai Giulietta  che mi piace, lo sai che ti adoro e che vorrei già essere padre di una bimba come te. Ho solo paura di non farcela a badare a te, così piccola, in queste ore che staremo insieme. Ma sì, ce la faremo. Tu fai la brava, eh! E niente cacchina!

“Ello, io Iccao! Papeina, papeina!”

PapeRina, ecco la tua PapeRrina, giocaci quanto vuoi. Zio RRRiccardo nel frattempo  prepara la pastina, una buona pastina per Giulia. Vediamo…pentolino, acqua, tre cucchiai rasi di pastina, trrre, e poi un cucchiaino raso di grattugiato. Cucchiaino raso…tua mamma l’ha ripetuto tre volte, cucchiaino raso, che ti può venire il colesterolo a quindici mesi!

“Ello, io Iccao! Papeina ella!”

Sì, bella papeina, papeRina, ma più bella tu. Aspetta, Giulia, devo prima prepararti il pranzo, poi giocheremo con Paperina. PA.PE.RI.NA. Ma non è piccola questa pentola? Qui c’è il tuo piatto con gli orsetti e il biberon con l’acqua. Ah, che sei carina col bavaglino a pois! Bevi, su, e beve anche Pa.pe.Ri.na.

“Papeina, io Iccao”

Ok, ok, Papeina. L’acqua bolle, tre cucchiai di pastina. Un po’ di sale e il grattugiato raso. Fatto, tra un minuto è pronta. Ma il sale? Oh, mio Dio, il sale? I bambini mangiano con il sale??? Il sale…sì o no? Che faccio? Telefono a tua mamma.

“Paina! Paina!”

Aspetta, Giulia, abbiamo un problema: la pastina è  pronta, ma tua madre non risponde. Nessuno risponde! Sono tutti a scuola: mando un messaggio, magari quello lo legge se ha messo il silenziatore.

-PASTINA PER GIULIA COL SALE O SENZA SALE???-

“Paina, paina!”

No, no, non piangere, hai fame, lo so, ma non piangere, ti prego ti pregotiprego…

“Paina! Paina!”

Sì, ho capito, paina, paina…madonna, sto incretinendo e sono anche tutto sudato! No, no, niente sale, buttiamo questa pastina nella pattumiera e la rifacciamo senza sale. Un attimo di pazienza. Guarda che bella Paperina!

“Paina, Iulia paina!”

Vieni in braccio, su, passeggiamo sul balcone in attesa che bolle l’acqua. Guarda che bei fiori!

“Paina, PAINAAA!”

 Mamma mia che ti fai brutta quando piangi e urli! Senti, l’ho capito che hai fame, lo zio ha sbagliato, ha messo il sale nella paSTina e il sale fa male ai bimbi piccoli come te. Tra pochi minuti avrai la tua paSTIna, buona, liscia e salutare! Guarda che belle le margheri…no, no, la camicia no, così la strappi! Già è tutta bagnata di lacrime e saliva! Meglio rientrare prima che mi scivoli dalle braccia. Mettiamo ‘sti cucchiai di pastina, calmati Giulia! Calmati, Riccardo!

“Paina, painAAA, inAAA, AAA!”

Smettila, Giulia, smetti di strillare, echecazzo! Ma che ho detto? Scusa, scusa, piccolina…sto andando fuori di testa! Tranquilla, amore, ora ci calmiamo tutti e due, la pastina è nel piatto, ma dobbiamo farla raffreddare. Soffio, sì, soffio. Ma perché non piangi più? Ti sei ammutolita? Ti ho spaventata? Scusami, sorridi, dai. Ecco l’acqua, bevi che tra un attimo si mangia. Mescoliamo bene, sì, ora non è più bollente.

Amm…buona? …amm…ti piace? Aspetta, ho bisogno di un tovagliolo, sto sudando come un maiale. Dio, che esperienza, stamattina! …amm…

“Ello, io Iccao!”

Davvero? Bella tu  e buona la pastina, vero? Ora mi fai un bel ruttino, ok? Ah, il telefono, tieni Paperina, zio RRRiccaRdo va a rispondere, stai buona, mi rrraccomando.

“Ciao, sì, tutto bene,  ti avevo cercata, non sapevo se mettere  il sale nella pastina di Giulia.”

“Ma certo, mica diventa ipertesa! Poco sale, naturalmente, ma ci vuole, altrimenti te la sputa in faccia. A dopo.”

“A dopo.”

Il sale…ipertesa…spiritosa la cognata!

“Io Riccao!

Dimmi, piccola, ti è piaciuta la pastina senza sale? Non l’hai sputata in faccia allo zio, meriti un bacione. Hai fatto il ruttino mentre ero al telefono? Oh, ma come mi hai chiamato? Hai pronunciato la R! RRRiccarrrdo, ripeti, RRRiccarrrdo.

“Riccao, ello io Riccao!”

Ahahahah, Riccao va già meglio. Rrrosa, rrriso, rrramo, rrrana, rrruttino.

“ruino, io Riccao”

No, il ruttino devi farlo tu, non zio Riccardo. Ridi? Sai che ti dico? Che il ruttino lo lasciamo perdere, non si muore senza ruttino. Ora andiamo a rotolarci sul tappeto che è tempo di giocare, wow!

“Ello, io Riccao!”

Sììì, ello io Riccao, ella Giulia, elli noi. Se è vero che la vita è fatta di tanti piccoli attimi importanti, ora ne sto vivendo uno  con te. Che ne dici della favola della rrrana e del bue? Sentirai che  botto farà la RRRanocchietta…   …Oh, sento puzzetta… Il botto mi sa che stamattina  lo farà proprio Io Riccao!

 

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