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Marirò

~ "L'esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque"

Marirò

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Le colonne a mare

21 martedì Lug 2015

Posted by ili6 in articolo

≈ 59 commenti

Tag

allegria, bagnanti, caldo, Catania, controra, estate, giochi, mamma, mare, noia, plaja, regole, ricordi

Domenica scorsa per fare un bagno  dovevi chiedere il permesso o prendere il numerino: troppa folla, causa caldo rovente.  C’erano centinaia  di persone e bambini e alcuni giocavano a fare le “colonne a mare”. Molti bagnanti, abituati alla calma di giugno,  sbuffavano per gli schizzi e gli schiamazzi. Io mi sono avvicinata a quei bambini e li ho lodati, poi ho nuotato al  largo in quasi solitudine, ricordando…

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Foto web

Era l’estate del ’71 e non avevo ancora quattordici anni. Un’estate calda come questa e naturalmente si andava al mare. Non proprio naturalmente perché non abitavamo vicinissime al mare, ma mia madre sfidava caldo, stanchezza e sudore e quasi ogni mattina si partiva per i lidi della plaja dove da anni avevamo in affitto una rovente cabina. Non mi piaceva tanto quel lido, non conoscevo molti  coetanei, era un lido per famiglie, troppo IN e  tranquillo per una quattordicenne. Comunque si passavano gradevoli giornate e poi c’era il mare e la mia voglia di imparare a nuotare. Se ricordo bene  fu proprio in quell’estate che imparai, tuffandomi dal canotto di un amico che aveva preso un po’ il largo, pensando ora o mai più: non ne potevo più di nuotare dove si toccava, e alla plaja si tocca per centinaia di metri! Ricordo ancora la faccia di mia madre quando tornai a riva : vide il mio tuffo  e stranamente non mi rimproverò, anzi mi disse- Brava- e aggiunse: -Mi hai fatta morire dallo spavento! Ora perfezionerai il nuoto ad Aci Castello con lo zio, la plaja non è più adatta a te.

Le ore più pesanti da trascorrere alla plaja erano quelle della controra: assolutamente vietato fare il bagno dopo il pranzo, assolutamente vietato giocare a tamburelli o con le palline clic-clac (le ricordate?), ascoltare la radio o azionare il mangiadischi,  vietatissimo fare il minimo rumore perché la gente doveva riposare sotto l’ombrellone sino alle 17.00!! Non sapevo cosa fare in quelle tre ore roventi: i ragazzi non amano la siesta, amano vivere ogni momento della giornata. Mia madre mi vietava di andare nella zona bar che in quelle ore raccoglieva giovani più grandi di me che si sbaciucchiavano e così non potevo fare altro che stare sotto l’ombrellone a leggere in attesa della benedetta avvenuta digestione! Che poi, tre ore per digerire un panino e qualche frutto…un’esagerazione! Ma le regole erano quelle e non si discutevano. A volte giocavo a scopa o a dama con i familiari di un ragazzino occhialuto, riccioluto e timidissimo che si chiamava Enzo e che mai si unì ai nostri giochi sfrenati del mattino, pur osservandoci da lontano. Mai avrei potuto pensare  che decenni dopo sarebbe diventato il sindaco della mia città!

Ma le regole, si sa, nascono per essere infrante e fu così che in quel lido tutto perfettino una decina  di ragazzi e ragazze in un pomeriggio particolarmente torrido decisero di fare baccano a più non posso divenendo  la gloria della controra. Si divisero in due gruppi con semplici nastri colorati legati ai polsi e iniziarono il gioco della colonna a mare. Consisteva nel riuscire a mettersi uno  sulle spalle dell’altro, formando una colonna quanto più alta possibile e di resistere agli spintoni della colonna avversaria. Un gioco semplice quanto divertente e rumoroso: urli, schiamazzi, risate, tuffi rocamboleschi destarono i dormienti delle 15.00 che iniziarono ad osservare le evoluzioni, ora rischiose, ora buffe, ora faticose e comiche di quei giovani. Qualcuno disse: ma chi sono quei cafoni che urlano a quest’ora? Mia madre disse: Rischiano un’indigestione!

Noi ragazzini della controra obbligata ci avvicinammo alla riva per osservare meglio le peripezie di quei matti. Venne anche il bagnino, forse per richiamarli al silenzio, ma rimase anche lui a guardare.

Le colonne si formavano con tre-quattro ragazzi a cavalcioni sulle spalle uno dell’altro e gli spintoni avversari erano anche forti, ma si cadeva in acqua ed erano tutti bravi nuotatori. Pian piano, senza rendercene conto, ci avvicinammo  sempre più alla riva, affascinati da quel gioco, dalla forza dei ragazzi, ma anche dalla loro vitalità e dall’allegria che contrastava la monotonia di quelle ore.  Alcuni adulti iniziarono a dare consigli e, per meglio seguire la gara, entrarono in acqua. Lo feci anche io, lo facemmo in tanti, mamma compresa!!! Quasi tutto il lido fu  in acqua ed erano appena le  16.00 del pomeriggio!

E la digestione??? E il riposino??? E il silenzio??? Che voglia che avemmo di buttare le buone regole a mare!

 Iniziò il tifo e scrosciarono gli applausi quando i ragazzi riuscirono a formare  colonne  di cinque  che oscillavano pericolosamente a ogni respiro dei ragazzi di base che faticavano a morire. Per stare meglio in equilibrio le due colonne umane si aiutavano agganciandosi l’un l’altra e noi a trattenere il fiato… Alcuni decisero di unirsi al gioco e andarono a sorreggere la base, altri formarono delle colonnine di due per aiutare i ragazzi a stare in equilibrio, sostenendoli per le spalle. Altri andammo a prendere i materassini con l’idea di aiutare in qualche maniera quei ragazzi: non ebbero bisogno di un materassino galleggiante, ma fu un modo per partecipare a tutta quell’allegria. Perché l’allegria altrui può infastidire, ma anche contagiare e, avvicinarsi ad essa, controra e digestione o meno, è spesso la migliore scelta.

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 (Foto web)    Alle Hawaii non si teme la digestione; ah, se mia madre vedesse tutta questa gente pranzare ammollata!

Noi: gli italiani e gli altri.

19 venerdì Giu 2015

Posted by ili6 in articolo, costume e società, Politica

≈ 60 commenti

Tag

accoglienza, badanti, cinesi, declino, demografia, italiani, migranti, Paolo Andreozzi, razzismo, scandali italici, stranieri

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Foto presa qui

Ci voleva un’ ondata migratoria di proporzioni enormi per svegliare il dormiente uomo italico! Già, perché noi Italiani dormiamo da un bel pezzo e ora che ci sentiamo “invasi”, reagiamo in modo scomposto, oscillando fra un’accoglienza umanitaria e una serie di dichiarazioni di fermezza che poi vengono regolarmente disattese. Ci volevano  Milano e la sua Expo, Roma e la sua stazione ferroviaria per farci esclamare :Oh, povera Italia! Lampedusa non è bastata.

Non ci siamo posti il problema della povera Italia quando gli esperti  iniziarono a dire del decremento delle nascite: alla fine degli anni ’60 nascevano in Italia quasi un milione di bambini all’anno, ma oggi il numero si è ridotto a meno della metà ed è quasi uguale a quello dei morti. Siamo molto vicini alla crescita zero. I demografi continuarono col dire che intere zone dell’Italia meridionale si stavano spopolando per via delle migrazioni (toh, anche noi con le valigie sempre pronte…), ma questo interessò poco. Ci dissero della fuga all’estero della parte migliore degli italiani, le giovani menti, i professionisti, i ricercatori e del conseguente impoverimento intellettuale e dell’ invecchiamento della popolazione. Le cause di questo inizio del declino furono svariate e  legate  alle condizioni socioeconomiche della popolazione, ma anche a quella natura insita nell’essere umano  di ogni luogo e tempo di  spostarsi  dai luoghi di origine per andare alla ricerca di nuovi territori, per migliorarsi. Le cause furono individuate, ma i rimedi non si pensò nemmeno di tentarli. Anzi, mettemmo in moto altri meccanismi che indussero, ad esempio,  le grandi fabbriche, i grandi marchi del Made in Italy a fuggire dall’amata Patria per poter respirare in terra straniera dal soffocamento della burocrazia e delle tasse.

Alla Patria, però, serviva forza lavoro  e quando la richiesta di manodopera delle regioni del Nord non trovò più risposta nei giovani disoccupati del Sud dell’Italia, che iniziarono a preferire l’estero ad un ambiente italico che  offriva loro solo il lavoro senza quelle strutture logistiche che sono indispensabili per un inserimento completo nel tessuto socio culturale, ecco che ci si aprì alla manodopera straniera.  Da un punto di vista economico questo creò  un beneficio al nostro  Paese;  gli stranieri si adattano a ricoprire posti di lavoro che in genere gli abitanti del luogo rifiutano perché poco graditi o sottopagati. Noi italiani , ad esempio, pur  con  la disoccupazione elevata che abbiamo,  ci siamo attorniati ben presto e  volentieri di badanti polacchi, russi, rumeni , perché noi non siamo disposti a lavare i sederi dei nostri vecchi. Non amiamo lavorare nei campi alla raccolta dei pomodori o nelle stalle ad accudire gli animali: paghiamo (finchè potremo) lo straniero che lo fa senza lamentarsi.   L’arrivo di decine e centinaia di migliaia di persone che vennero ad inserirsi fra i residenti, rompendo in molti casi equilibri già ben consolidati, diede intanto  un certo incremento demografico dovuto non solo alla presenza dei nuovi arrivati, ma anche dall’alto indice di natività che li caratterizza. La forte immigrazione ha  inciso, tanto per dirne una,  anche sull’incremento della popolazione scolastica e sulla conseguente necessità di assumere nuovo personale insegnante (viva viva!)

Nel frattempo noi italiani ci siamo dedicati ad altro: alle furbizie, alle arrampicate personali, alle astuzie, all’ozio. Ci siamo dedicati, ad esempio, ad avvelenare intere zone d’Italia  pur di evitare di pagare il regolare smaltimento dei rifiuti tossici, ci siamo fatti invadere facilmente e silenziosamente dai cinesi, vendendogli  case, terreni, palazzi, intere zone di antico splendore. Abbiamo continuato a fregarcene del turismo e abbiamo permesso che si sgretolassero Pompei e  le autostrade e che non si realizzassero le grandi opere che potevano portare lavoro e lustro. Abbiamo lasciato fare alla criminalità organizzata. Abbiamo assistito all’indegno spettacolo politico, giuridico, bancario.  E tanto altro.

Ora che ci sentiamo assaliti e soffocati , non dall’immobilismo italico, non dalla corruzione , dalla scempiaggine, dalla disoccupazione, ma dallo straniero, ora gridiamo allo scandalo.

Non serve gridare, serve fare.  Serve svegliarsi, serve cambiare noi stessi, serve amarci di più e amare meglio questo nostro Stivale. Serve evolversi.

Serve, può servire,  anche accogliere:  la diversità culturale, se ben utilizzata, può essere un valido strumento di evoluzione. Da un punto di vista antropologico la variabilità è un vantaggio rispetto alla omogeneità e questo lo abbiamo studiato tutti nei libri di Storia delle scuole di ogni ordine e grado. Occorre, a livello italico, europeo e mondiale,  una seria politica per l’immigrazione che non sia altalenante fra permissivismo e limitazioni fondate su norme dis-umane. (A tal proposito, e al di là degli schieramenti politici,  mi è piaciuto tanto questo articolo di Paolo Andreozzi).

L’immigrazione incontrollata finirà per scatenare gravi tensioni sociali e allontanare o annullare  la maturazione di una cultura antirazzista e antixenofoba che, per fortuna, molti abbiamo conquistato e ancora possediamo.

Due ciliegi innamorati (& comments)

26 martedì Mag 2015

Posted by ili6 in articolo, costume e società, emozioni, Intrattenimento, storie

≈ 52 commenti

Tag

adulterio, amiche, discussioni tra amiche, i ciliegi innamorati, libertà di pensiero, opinioni, putiferio, Whatsapp

“Due Ciliegi innamorati, nati distanti, si guardavano senza potersi toccare.

Li vide una Nuvola che,  mossa a compassione, pianse dal dolore ed agitò le loro foglie … ma non fu sufficiente: i Ciliegi non si toccarono.

Li vide una Tempesta che, mossa a compassione, urlò dal dolore ed agitò i loro rami … ma non fu sufficiente: i Ciliegi non si toccarono.

Li vide una Montagna che,  mossa a compassione, tremò dal dolore ed agitò i loro tronchi … ma non fu sufficiente: i Ciliegi non si toccarono.

Nuvola, Tempesta e Montagna ignoravano che sotto la terra le radici dei Ciliegi erano intrecciate in un abbraccio senza tempo.”

(Anonimo giapponese)

ciliegi(5)

Foto web

(Comments)

La storia è conosciuta, ma mi emoziona sempre leggerla. Stavolta la ricevo da un gruppo di amiche di Whatsapp.

L’amica che la invia scrive come commento: Attenzione, non è bellissima…

La risposta di alcune è che  la storia è molto tenera.Qualcuno scrive che è gradevole per la solidarietà. Una risponde: Solidarietà a cosa? All’adulterio!

Poi arriva un commento : Meravigliosa! Non sempre i legami importanti devono essere visibili agli occhi del mondo.

Io (che faccio la maestra in ogni dove, mannaggia a me…) do un 10 e lode a quest’ultimo commento.

Beh, si scatena il putiferio e siamo ancora là che discutiamo su chi ha ragione e chi no. Poveri ciliegi innamorati e nati distanti…

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