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Giorni fa la preside, tutta contenta, mi mette in mano dei fogli chiedendomi di leggerli e di portare avanti il relativo progetto nella scuola, progetto che consiste nel far  scrivere agli alunni racconti, poesie,  fiabe e favole che saranno pubblicati da una casa editrice italiana. Aggiunge che nella copertina del libro ci saranno le foto degli alunni, il logo della scuola e i nomi di tutti. Conclude dicendo che si sta rivolgendo a me perché sono avvezza a queste cose avendo partecipato con le mie classi a vari concorsi, ottenendo anche qualche riconoscimento, ma stavolta non si tratta di pergamene, medagliette  o pochi spiccioli, bensì di un libro che sarà venduto nelle librerie italiane e sul web.

Caspita!

Scettica, vado a leggere il progetto.  Tutto sembra chiaro e lodevole: lo scopo creativo, l’incentivazione a scrivere e leggere, il tocco di accattivante modernità  coi selfie da copertina. Sorrido quando noto i grassetti: ” il nome dell’Istituto scolastico sarà ben visibile  ed anche quello del Dirigente,degli insegnanti e degli alunni che parteciperanno al volume”. Vabbè, un po’ di sana vanità non guasta dopo la fatica che si fa per scrivere un libro che dovrà avere 200 pagine almeno. Continuo a leggere, sto cercando qualcosa che non trovo, forse mi è sfuggita e ricomincio la lettura  dei fogli. No, proprio non c’è, manca la giuria, quella insindacabile. Non c’è perché non è un concorso, è un progetto. Quindi qualsiasi cosa invieremo, anche una mediocrità, sarà stampata. Bene, bene… Arrivo all’ultima parte del malloppino, le modalità di partecipazione: chiare le date, le indicazioni per l’impaginazione, caratteri, interlinea, etc …e dulcis in fundo…l’acquisto! Eh sì, eccolo!  Ogni libro, con tanto di codice ISBN, costerà intorno ai 15 euro e la scuola, all’invio del materiale da pubblicare, dovrà spedire metà dell’importo relativo al minimo delle copie da acquistare. Si aggiunge anche che la Casa Editrice devolverà una quota del ricavato in beneficenza: lodevole.

Ora che tutto mi è chiaro, torno dalla preside: -“ Si tratta di editoria a pagamento, in inglese vanity press. Gli alunni dovranno acquistare il libro che scriveranno e pagare metà quota anticipatamente. La scuola, inoltre è obbligata a prenotarne centinaia di copie. Significa chiedere soldi ai genitori, ma soprattutto significa educare i piccoli all’illusione e alla vanità. Il lavoro che manderemo non sarà valutato, non c’è una giuria, la casa editrice si riserva di fare eventuali piccole modifiche, il libro potrà essere eccellente o pessimo, non importerà, purchè lo acquistiamo. A livello educativo è un discutibile messaggio.”

“Ma noi faremo un bel libro, sarà presente nelle librerie d’Italia e i genitori saranno orgogliosi di acquistarlo!”

“ Non ho nulla contro l’editoria a pagamento. Ho anche acquistato alcuni  bei libri autopubblicati dopo aver apprezzato la scrittura degli autori tramite siti web e blog. Nulla di male, ognuno è libero di farsi un regalo e di proporsi. Meglio questi scrittori che quelli che pagano altri per farsi scrivere un libro che poi firmeranno o chi pubblica perché ha  buone conoscenze in una casa editrice. Ma qui è diverso, noi siamo una SCUOLA, siamo un centro di educazione  e non mi piace  far passare il  concetto dell’autopubblicazione. Lei ha pensato a me per questo progetto perché ho partecipato a vari concorsi di scrittura, ma in tutti, io e i miei alunni, siamo stati, positivamente o negativamente,  valutati e  giudicati da varie giurie al di sopra di noi. Nell’ultimo concorso, lei lo ricorderà, abbiamo partecipato con tre libri, spendendo solo pochi euro per la spedizione e uno solo è stato giudicato valido dalla giuria europea. A me, a noi, sta bene così. Abbiamo ricevuto gli attestati di merito, il piccolo premio in denaro e abbiamo acquistato dei libri per la biblioteca di classe. Ok, poca cosa, ma educativamente solida. Ci siamo impegnati, abbiamo coinvolto qualche genitore a scuola per i disegni, abbiamo creato,  cancellato, corretto, impaginato con l’obiettivo di fare sempre meglio, di vincere, perché no, ma anche  con la consapevolezza dell’incertezza  e con l’umiltà di una valutazione esterna necessaria. Ma ora che io – scuola debba dire agli alunni di scrivere un po’ di favole e di uscire i soldi per vederle stampate e impaginate in un libro col proprio nome e cognome e con quello della preside e delle maestre, diventa  per gli alunni un pericoloso messaggio di vanità e vanagloria. E la scuola non deve dare questo messaggio.”

Lei mi guarda, poi apre il cassetto della sua scrivania e esce un libretto dalla copertina rossa che riconosco subito:- “Queste filastrocche i suoi alunni le hanno prodotte  per Natale, vero? Sono molto carine, a volte le rileggo con piacere. Avete messo tanto impegno in questo lavoro e poi è rimasto qui, in un cassetto della scuola o in una libreria di casa. Voi maestre siete così, ma lo comprendo.”

“Quel libretto, scritto in classe mentre si studiava il testo poetico,  è stato fotocopiato nell’ufficio di mio marito solo per donarlo agli alunni e a lei come pensierino  di Natale. Noi insegnanti  non dobbiamo formare scrittori o poeti, dobbiamo fornire le basi della scrittura e il piacere di scrivere per scrivere. E dobbiamo educare alla valutazione serena.  Il resto  verrà da sé, se verrà.”