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Nei giorni scorsi ho visto  al Chiostro del Bramante di Roma, l’interessante  mostra de I Macchiaioli-Le collezioni svelate. La mostra ospita molte tele importanti di artisti italiani che, a metà dell’Ottocento, crearono un movimento pittorico  basato sul verismo e su un uso del colore tramite macchie e violenti contrasti luminosi. I Macchiaioli, in contrapposizione all’arte Rinascimentale, ritraevano la natura direttamente all’aria aperta, appuntando su taccuini e tavolette le impressioni che ricevevano dal vero, prediligendo  i paesaggi della campagna toscana, la vita quotidiana, il tempo libero e la villeggiatura, i poveri e la loro condizione sociale e soprattutto la tragica situazione bellica dell’Unità d’Italia .  Con la tecnica del ton gris e dell’utilizzo dello specchio nero per rendere il chiaroscuro, nacque una pittura tutta italiana che anticipò la più famosa e amata arte dell’Impressionismo  francese.

I  “macchiajuoli”, termine che venne usato in modo dispregiativo,  non furono compresi e  apprezzati nel mercato artistico del tempo e i loro bei quadri furono acquistati prevalentemente  da privati per passione, amore dell’arte e  per  spirito di mecenatismo, per  aiutare, così,  quei giovani artisti, rei di vivere in uno Stato politicamente e geograficamente smembrato,  ad andare avanti e a continuare a proporre una ricerca e un rinnovamento dell’arte.La mostra di Roma “svela” le collezioni private dei mecenati e  mostra al pubblico un centinaio di splendidi quadri di Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Giuseppe De Nittis, Odoardo Borrani, Oscar Ghiglia, Federico Zandomeneghi e pochi altri. La mostra, inoltre,  permette al visitatore di scoprire il clima storico che fa da sfondo alla vicenda di questi artisti, legata soprattutto alle violente situazioni del Risorgimento.

Tante le tele che mi hanno colpita. Fra queste c’è il bellissimo quadro “Cucitrici di camicie rosse” di Odoardo Borrani.

Borrani Odoardo_Le cucitrici di camicie rosse (1863, coll privata)[1]

Odoardo Borrani – “Cucitrici di camicie rosse”, 1863

La prima cosa che salta all’occhio è la data, 1863, cioè due anni dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia, quindi a “cose” fatte. Un dettaglio non indifferente se si analizza bene la scena che Borrani rappresenta col “senno di poi”. Il quadro è, secondo i critici d’arte, un inno al Risorgimento. Per me è un inno poco convinto. La scena rappresentata è intima e carica di simboli. Vuole sottolineare, come scritto da tante parti, il contributo delle donne, delle madri, delle sorelle dei tanti soldati che combatterono per l’Unità d’Italia. E sin qui nulla da dire: le “cucitrici” che cuciono la lana rossa sin dal primo mattino, la pendola segna le 7.15, simboleggia il rito, la preghiera, la partecipazione alle vicende del tempo. La stanza è luminosa, ben arredata, borghese, quasi opulenta per quei tempi di guerra. Si nota un quadro color seppia dell’eroe del tempo, Garibaldi, e colpisce quel bastone della tenda a forma di freccia, chiaro simbolo di guerra e lotta. E morte. Le donne sono concentrate nel lavoro e sono serie, troppo serie. Nessuna sorride, nessuna guarda verso la finestra, come se temessero di venire a conoscenza dei misfatti dei loro uomini  verso altri uomini e altre donne. Forse ascoltano le ultime novità che riguardano il Sud d’Italia e che sta raccontando la donna di spalle ultima arrivata e le altre stanno con gli occhi abbassati, in silenzio. Ecco, colpisce il silenzio  di queste donne che cuciono le giubbe garibaldine. Non sono convinte, non sembrano soddisfatte, orgogliose, contente. Sono preoccupate, perplesse e forse anche addolorate e vergognate.

Non so se la mia analisi di semplice donna del Sud  sia esatta o se è viziata dal “senno di poi” della Storia. La “macchia”  ha comunque saputo indirizzarmi alle emozioni personali che derivano dall’ambiente in cui vivo. Proprio come  i Macchiaioli che seppero riprodurre  le loro emozioni dal Vero.