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accoglienza, bianco e nero, dolore, emozione, fame, fotografia, guerra, migranti, miseria, mostra fotografica, Robert Capa, Seconda Guerra Mondiale, Sicilia, soldati, Troina, Ungheria
Sono stata a visitare la mostra dedicata al grande fotoreporter di guerra Robert Capa, che racconta gli anni della seconda guerra mondiale in Italia. Le circa ottanta foto esposte nella bella location della Torre Capitania di Troina (EN), un paesino arroccato sui Nebrodi, sono straordinarie e colpiscono per la maestria tecnica del fotografo più famoso del secolo scorso, per la nitidezza, i chiaroscuri, le mille sfumature del bianco e nero, ma soprattutto scatenano una forte emozione per la scelta dei soggetti, per la spontaneità, la delicatezza e la cruda realtà delle inquadrature che catturano il “ momento decisivo” capace di raccontare, senza bisogno di parole, le atrocità della guerra.
Robert Capa – Sperlinga 1943
Robert Capa – Troina 1943
Molte delle foto esposte sono “tornate a casa”, nei luoghi, cioè, dove Capa le scattò, a Troina e dintorni, e questo crea nei siciliani accorsi a visitare la mostra, un’emozione in più.
Robert Capa . Troina 1943
Robert Capa – Agrigento 1983
Le foto di Capa testimoniano quanto banale e a volte noiosa fosse la guerra, ma anche drammatica, fatta da uomini che a volte non sapevano neanche perché erano lì, ad uccidere per non essere uccisi. Nei suoi fotogrammi c’è la gente comune, ci sono i volti di giovanissimi soldati americani e tedeschi stanchi e impauriti, i luoghi ridotti in macerie, ci sono affamati e assetati, morti e feriti, sale ospedaliere improvvisate nelle chiese, madri che urlano il dolore per i figli morti, sguardi di bimbi disorientati. Soldati e civili vittime di una stessa strage. L’obiettivo di Robert Capa tratta tutti con la stessa equità, fermando la paura, l’attesa, la solitudine, la fame, il riposo, la solidarietà, la speranza.
Robert Capa – Benvenuto agli Americani a Monreale -23 Luglio 1943
Robert Capa, che fu tra i primi a capire l’importanza del mezzo fotografico come arma di denuncia e di testimonianza, era ungherese e, se fosse vissuto oggi, non avrebbe avuto bisogno di spostarsi per il mondo per raccontare di guerra. Avrebbe potuto documentare la guerra che si sta svolgendo nel suo Paese , una guerra al momento senza bombe, ma con lo stesso bagaglio di disorientamento, disperazione, paura, attesa e speranza.
Ungheria 2015
“Un inferno che gli uomini si sono fabbricati da soli.” Robert Capa
Ps A proposito era questo il post che avevo letto senza lasciare commento. Ciao, ora ho rimediato
Sono in affanno in queste settimane per problemi di lavoro e in ritardo con i commenti e la lettura dei blog degli amici, ma spero di recuperare presto.
Grazie a te per aver letto e essere tornata qui. E’ un piacere leggerti e averti come commentatrice.
Un abbraccio, ciao
Vale lo stesso per me nei tuoi confronti. Ciao. Isabella
Cara Marirò un post che non si esaurisce ma che continua pare anche attraverso i commenti e altre foto.molto significative di Capa. Davvero interessante. Se mi permetti vorrei lasciarti il titolo di un mio post scritto il 6 giugno 2014.
McCullin,un gigante del reportage di guerra. Penso ti piacerà. Un abbraccio. Isabella
Certo, lo leggerò volentieri.
Ok
Bellissimo articolo, bellissime le foto che narrano della grande tragedia dell’uomo sempre immerso nei conflitti, nella guerra. Devo dire che anche i commenti sono molto interessanti.Un caro saluto
Grazie, lieta del tuo gradimento.
Buona serata e benvenuto 🙂
Davvero interessante questo Post! Grazie Marirò per le stimolanti riflessioni e le bellissime foto!
Un abbraccio
Nives
grazie a te, Nives, per avere letto.
bacioni, ciao
C’era un blogger, fotografo di guerra, cui a un certo punto ridussero drasticamente il lavoro decidendo di usare foto di repertorio, sostenendo che “tanto le guerre sono tutte uguali”: ma le guerre sono tutte uguali e tutte diverse, ogni guerra è unica, e ognuno che la soffre sulla propria pelle è unico e ripetibile; ogni storia è diversa, anche se forse i sentimenti, umanissimi, sono sempre gli stessi.
Bellissime foto, è stata davvero una bella opportunità poter visitare la mostra!
Le guerre sono uguali, la sofferenza è unica e la stessa di sempre.
Di queste opportunità, mostre serie e avvincenti, da me, nel profondo sud,se ne creano poche. purtroppo. Coglierla è un obbligo.
p.s. Ieri dicevamo che lo stop da febbre è una opportunità per scrivere post, leggere blog altrui, commentare, rispondere, …beh, mica vero, eh! Alla fine sono crollata come una pera matura…
Hanno già detto tutto coloro che mi hanno preceduto. Alcune foto di Robert Capa le conoscevo già, ma al vederne tante insieme ti si stringe il cuore. Un bianco e nero fantastico nella sua crudezza!
Nicola
Proprio così, Nicola.Un bianco e nero sfumato dai mille colori del dolore e della paura.
Benriletto anche qui,ciao. A presto.
Un post molto interessante corredato di foto e per chi come me è lontano, vuol dire avere la possibilità di conoscere l’arte fotografica del grande fotografo ungherese. Le foto sono emozionanti: raccontano la tragedia della guerra, gli stati d’animo, la sofferenza della gente che, come accade anche ora, non centra nulla con chi sferra l’attacco distruttivo e ha solo mire espansionistiche. Gli ungheresi farebbero bene a ricordare che sono stati migranti quando scapparono dai carri armati russi che invasero le loro terre.
Buona serata, cara Marirò.
un abbraccio
annamaria
La mostra di Robert Capa sulla Seconda Guerra Mondiale è stata esposta anche in altre città italiane (non so dove tu abiti) ed è stata curata dalla ditta Alinari di Firenze, un’azienda leader nel campo della fotografia. Nella mia città, Catania, c’è una mostra permanente sullo Sbarco e vi sono esposte parecchie copie delle foto di Capa, insieme ad altro. E’ una mostra molto interessante, anche interattiva, ben organizzata anche a livello didattico, ma la qualità e il percorso della Alinari di Firenze è tutt’altra cosa.
Gli ungheresi, e non solo loro, dovrebbero tornare indietro nel tempo, nemmeno poi tanto, dici bene, Annamaria. Ma la memoria in certi casi è meglio tenerla corta…
Grazie, a presto, un caro saluto a te.
Bellissimo post , hai reso omaggio ad una grande fotografo come Roberto Capa. Per me é una fonte d’ispirazione .Sono fotografa di strada e cerco attraverso la fotografia di documentare la realtà.Ho aperto un nuovo blog come fotoreporter e ne sarei onorata se venissi a dare un occhiata su http://www.violetadyliphotographer.com
A presto 🙂
Ciao Viola, grazie per essere passata e aver apprezzato. Verrò presto a trovati.
🙂
Grazie Ili , buon fine settimana ❤ 🙂
Ragazzi che foto! Esprimono tutta la tragedia della guerra.
Proprio così.
Le coincidenze della vita: proprio in questi giorni stavo pensando a un personaggio dei fumetti che ho apprezzato moltissimo, anni fa; Frank Cappa. Disincantato reporter dalle zone di guerra ispirato, immagino, proprio a Robert Capa. La bellezza del fumetto in questione, graphic novel, è proprio quella di esaltare l’umanità dietro al conflitto.
Un sorriso per la serata.
^____^
Robert Capa è stato seguito da molti e penso anche dal fumettista che indichi e che non conosco.
i miei fumetti preferiti restano quelli della Disney 😀
Grazie per questo post, sai che io non lo conoscevo? Ammetto la mia ignoranza ma ora grazie a te ho cercato anche qualche info in internet! Ciaoooo
Sai come ho conosciuto Robert Capa? Leggendo un articolo di Andrea Camilleri in un libro di Savatteri. Camilleri racconta dell’incontro con Capa ai templi di Agrigento, appena dopo un furioso bombardamento. Camilleri,nemmeno diciottenne, si era recato preoccupatissimo ai templi, convinto che fossero stati distrutti dalle bombe e lì vide un uomo che scattava foto come un pazzo, come avesse un mitragliatore in mano invece di una macchina fotografica. Arrivarono degli aerei americani e tedeschi che iniziarono a sparare, Andrea Camilleri si gettò a terra a pancia in giù e Robert Capa a pancia in su per continuare a scattare foto. Poi si rialzarono e il fotografo si presentò al ragazzo.
Io l’aneddoto te l’ho raccontato semplice semplice, così come lo ricordo. Camilleri lo scrisse in modo molto efficace, descrivendo l’ansia di Capa per trovare la giusta angolazione per i click e così mi incuriosii e cominciai a conoscere questo grande fotografo. Ora che la mostra è arrivata in Sicilia non potevo perderla, anche se per vederla ho dovuto affrontare tre ore di strada tumultuosa!
Ciaoooo
Non conoscevo questo fotografo,foto veramente significative
Le atrocità della guerra purtroppo si ripetono nel tempo.
Ciao e buona settimana !
Esatto, le atrocità si ripetono e colpiscono sempre la povera gente indifesa.
Ciao, a presto, buon proseguo anche a te.
Bello il tuo abbinamento delle foto di ieri con l’oggi, emozionante sopratutto.
In entrambi i casi c’era (?) c’è la fuga dalla guerra di chi non ha nulla di buono da aspettarsi da una guerra.
Un libro di Terzani ha per titolo “La fine è il mio inizio”, in questo caso le foto dell’arrivo delle truppe USA & C sono la (fuga) “fine” da una guerra dissennata che trova un’ancora nei nemici del giorno prima, mentre le foto dei profughi siriani sono la fuga da la guerra in atto, le sue vittime errano alla ricerca di un mondo di pace che la nostra grassa e grossa Europa non vuole dare.
Guarda questa foto di Capa scattata durante lo sbarco degli alleati in Normandia.Il fuori fuoco dà chiara l’idea del freddo, della fatica, del pericolo per i soldati chiamati a combattere per la fine di un’atrocità.Era il 1944.

Continuo l’abbinamento con una delle tante foto dei nostri giorni?

E’ come se dal mare uscissero dei fiori, ghirlande stremate di vita.
Veramente i primi erano soldati e venivano persi a mitragliate…
I primi erano persone che facevano i soldati e andavano a combattere, a volte senza sapere il vero perchè. un tempo la chiamata alla guerra era obbligatoria… e nella mostra che ho visitato c’è la foto di un ragazzino tedesco di diciotto anni, steso a terra, colpito da un aereo nemico. Era stato arruolato da soli tre mesi.
I secondi sono persone che tentano di scappare da una guerra. Anche per loro è uno sbarco e non sanno nulla del loro futuro..
Non tutti scappano da una guerra. Non fate finta di ignorare questa verità in nome di un cattocomunismo che ultimamente fa tanto trend. Se ne accorgeranno le future generazioni o chi di noi potrà vivere a lungo.
Come? Anche gli italiani un giorno sono stati migranti?
Certo e cosa abbiamo portato negli USA? Le stesse cose per cui oggi siamo li conosciuti: spaghetti e mafia.
Quindi come chiameremo noi questi presunti rifugiati tra 50 anni?
Cous-cous e decapitazione.
Ah, mi raccomando. Dite alle vostre figlie di cominciare a cucirsi il burqa. Lo tengano pronto in cassetto così come una volta si teneva la dote così magari qualcuna sfuggirà alla pulizia etnica che sarà fatta una volta che avremo loro regalato terra e potere a sufficienza.
A quel punto io andrei a dissotterrare i responsabili di questa invasione spacciata per “arricchimento culturale” e li decapiterei a loro volta, da morti.
Se qualcuno deve entrare in Europa deve essere controllato per bene. Se ci sono i requisiti per l’accoglienza che resti pure e si dia da fare sotto le leggi e le tradizioni europee; gli altri possono girare sui tacchi. Si ricarichino i barconi e via.
Dove sei Roberto Benigni? Per cortesia illustrami questo passo di Dante. Sono tanto curioso di sentire la tua interpretazione….
“Sempre la confusion de le persone
principio fu del mal de la cittade,
come del vostro il cibo che s’appone”
sinceramente mi inquieta più l’invasione dei cinesi, già avvenuta e in costante ascesa, tutti silenziosi, educati, nascosti, furtivi, che di questa gente africana.
Ti stai rendendo conto che siamo di fronte a un esodo di proporzioni madornali e che non riguarda solo Lampedusa o l’Italia? o solo i musulmani?
Ho sempre detto che ci vuole attenzione e rigore in ogni frontiera, italiana e non. Roba difficile da attuare, ma vedrai che ci sapremo organizzare per i controlli seri. Tutti.(sempre se sapremo rinunciare ai tornaconti personali…).
Se negli USA abbiamo portato solo spaghetti e mafia significa che eravamo/siamo solo questo! Non mi pare sia così: siamo questo, ma siamo anche tanto altro. Cultura e creatività, arte e scienza, tradizioni, storia e valori, serietà e onestà. Non tutti, certo, ma tanti sì. E anche queste cose molti nostri migranti portarono e portano nel mondo. Mica migrarono solo i delinquenti!
Mica stanno arrivando solo i delinquenti!
Si arriverà a una guerra per il dominio religioso? Beh, vedremo a quel punto che saprà fare l’Europa cristiana. Curioso che i siriani musulmani preferiscano l’Europa cristiana invece degli stati Arabi musulmani, Qatar, Pakistan, Arabia Saudita, ad esempio. Mi dirai che è perchè stanno mappando l’Europa per la conquista religiosa, burka compreso. Può essere, anche se la vedo dura, e potrebbe anche succedere che questa gente non vorrà più sentir parlare di religione, divenuta un enorme peso nel suo fanatismo,burka compreso.
Viviamo su questa Terra, caro Bruno, che gira e gira, col sole, il vento, la pioggia e la neve e che contiene persone come noi, diversi solo per razza, credo, cultura, tradizioni, usi e costumi. A noi decidere se averne costante paura o tentare il coraggio di una pacifica accoglienza- convivenza.
Vivere in un qualsiasi angolo del mondo oggi ed essere contro l’uguaglianza per ragioni di razza e colore è come vivere in Alaska ed essere contro la neve. (di William Faulkner da Paura: il travaglio del profondo Sud: Mississippi,
Non sono questioni di razza o colore ma di evidenze che stridono e che faranno male. Nemmeno io penso che arrivano solo i delinquenti ma chi è a favore invece pensa che non ne arrivino per niente e il male è proprio questo.
E no, non rinunceranno alle loro tradizioni. Non vengono qui per integrarsi ma per trapiantarsi con tutto il loro passato.
Il fanatismo non si cura; lo abbiamo visto con quello politico, con quello sociale….figuriamoci quello religioso.
La vera patria è quella in cui incontriamo più persone che ci somigliano.
(Stendhal) — (e non mi pare che per loro sia così’).
Ho visitato la mostra a Villa Manin, un Friuli Venezia Giulia,anni fa.
Senz’altro foto che ti fanno meditare.
Verissimo.
Grazie per essere passata da qui, ciao.
Le foto completano un articolo bellissimo, nonostante il tema della guerra metta sempre un po’ di tristezza, ma le immagini aprono gli occhi su che cosa essa sia e su quanto sia distruttiva…
Un saluto 🙂
Il tema è duro e crudo, ma osservare una foto come questa, ti regala speranza.

Grazie, ricambio saluti e sorrisi 🙂
Hai visitato una grande mostra, le foto di Capa sono uniche, praticamente “parlano” e le sue parole che hai usato alla fine di questo tuo post sono verità pura.
Un caro saluto, Pat
Credimi, è stata una visita emozionante.

Non amo le immagini, i film, i documentari di guerra, intesa come battaglia, morti, sangue, ecc…
Nelle foto di Robert Capa la guerra è una protagonista quasi di striscio, cioè, è protagonista assoluta nei volti e nelle vicende della gente comune che la subisce. Le sue inquadrature inusuali raccontano il dolore e la disperazione come e meglio di un corpo dilaniato da una bomba.
Guarda questa ragazzina, la sua solitudine, la sua stanchezza, il freddo, la miseria: Capa la scattò nel 1942, ma quante foto simili stiamo vedendo oggi? tante, purtroppo.
Sì, tantissime e nello stesso tempo tanta indifferenza ed egoismo!!
Ciao, Mariro’. Vedo che anche qui, c’e l’argomento della guerra, pur se trattato in modo differente rispetto al significato di una canzone. E’ anche argomento di memoria storica, e le immagini fotografiche sono memoria. Lavoro in un archivio di stato, e anche per questo motivo non posso non apprezzare l’opera di Capa (che non conoscevo..).
Proprio ieri notte, in una villa rustica, la casa museo di un mio paesano che egli adibisce a teatro anche per evocare eventi storici locali e non solo, proprio ieri e’ stata fatta una piccola recita con la presentazione delle foto, delle lettere, di altri scritti delle donne del mio pase che hannoa vuto a che fare con la prima guerra mondiale. E proprio su questo, nella sala di studio dell’archivio di oristano, c’e una esposizione su “grande guerra, i caduti sardi e le donne. Con documenti, e belle foto, come queste di Robert Capa. Ciao, Mariro’ 🙂
Marghian
Le foto, i quadri, le canzoni, la poesia,i testi, le lettere, rappresentano sicuramente documentazione, testimonianza e memoria storica. Anche denuncia che dovrebbe aiutarci a riflettere. Mostre, eventi e informazione sono importanti anche per questo, oltre all’emozione che possono regalare.
Ciao, Marghian 🙂
Possono darci tante emozioni, Mariro’. E poi c’e proprio quella “denuncia che dovrebbe aiutarci a riflettere”, come scrivi tu. Ciao 🙂
Marghian
POST DA RILEGGERE.. BRAVA CARA.. TI ABBRACCIO FORTE FORTE
Ricambio l’abbraccio, Maria. A presto, ciao.
Bellissimo post, tra l’altro un grande fotografo. Abbraccio,65Luna
Non credevo che le foto in bianco e nero potessero emozionare tanto. Tu che sai bene di fotografia, guarda questa foto di Capa scattata a Napoli mentre la gente faceva la fila per avere un po’ d’acqua. Guarda nelle bottiglie i riflessi del paesaggio: una risoluzione e una nitidezza spettacolari.

Un caro saluto, ciao
E’ uno dei piu’ grandi fotografi, l’ho studiato durante il corso e i suoi scatti sono opere d’arte. Tra l’altro il bianco e nero e’ suggestivo piu’ di mille colori, sempre secondo cosa si scatta. Abbraccio,65Luna
Bellissime immagini e immensa tristezza per quello che sta succedendo, la guerra e’ solo distruzione! Un abbraccio cara, grazie per questo bellissimo post, buona serata e buona domenica, ❤
La guerra è solo distruzione, dici bene, cara Laura. Saperlo, però, non aiuta gli uomini a evitarla.
Ciao, buona nuova settimana.
Grazie cara, anche a te, ❤